martedì 1 gennaio 2013

Il primo giorno dell'anno




Trovalo un bar aperto la mattina del primo gennaio, per il caffè, e magari vicino casa perché non hai tanto tempo. Io ci provo, sono a Milano, perbacco, un bar lo troverò.
La prima speranza sfuma davanti alla saracinesca abbassata, la seconda idem. Però la vetrina di Hani, il pizzaiolo egiziano proprio all’angolo, non è chiusa. Passo in esplorazione, mi avvicino, spingo la porta ma niente da fare. Parto per il terzo tentativo, Hani apre e mi chiama.
“La macchina del caffè è accesa”.
Entro, mi avvicino al banco, Hani mi fa il caffè e sa già come lo voglio.
“Ieri sera ho lavorato tanto, anch’io ne avevo bisogno” mentre mi passa la tazzina, poi beve il suo caffè. Io cerco il portafoglio ma no, lui soldi non ne vuole “questo lo offro io, signora” con un gesto gentile perfetto per il momento.

Di fronte alla pizzeria di Hani, la piazzetta con qualche gioco, un castello con lo scivolo, due altalene, un paio di aggeggi su molla. Una donna e tre bambini.
I bambini corrono, si arrampicano, saltano e dondolano. La donna siede sulla panchina, ha un berretto che le avvolge la testa lasciando scappare dei ricci mori. Tiene chiuso il cappotto con le braccia, incorciandole attorno alla vita, abbracciandosi. Le gambe accavallate, fuma velocemente una sigaretta che si è arrotolata.
Ogni tanto un bimbetto la chiama e lei osserva con interesse forzato l’evoluzione infantile, poi di nuovo aspira e torna a guardare oltre, verso la villetta di fronte. Tiene lo sguardo fisso sulla finestra del primo piano, con le tende tirate e la luce spenta. Rimane immobile a fissare la finestra, come in un quadro impressionista, in questa uggia milanese del primo giorno dell’anno.
Un enorme alano le passa di fronte, dall’altra parte della piazzetta. L’alano cammina libero, piscia sul parafango di un’auto parcheggiata, poi si volta ad aspettare il padrone, che arriva con il guinzaglio in mano e il telefono all’orecchio.
La donna si scuote e mette la mano in tasca, guarda il display e rifiuta la chiamata.
Il padrone del cane toglie il telefono dall’orecchio, guarda il display e alza gli occhi verso i giochi.
Guarda i bambini, poi vede lei. Le fa un cenno, sollevando il mento poi smuove di lato la testa, indicando la villetta, la finestra, la tenda tirata e la luce spenta.
Lei sorride, però poco, indica i bimbetti con lo sguardo e fa di no con la testa. Non è aria, non può, niente da fare. E’ legata in quella piazza, a quei giochi.
Lui mette il guinzaglio al cane, raccoglie una merda dal marciapiede, annoda il sacchetto e si volta verso di lei che si è già accesa un’altra sigaretta. Non sorride affatto. Questo primo dell’anno dovranno festeggiarlo in un altro momento.

2 commenti:

  1. Grande padronanza espressiva la tua. E condivido la prospettiva. La scrittura ha il dovere civico di occuparsi del reale che ci scorre a fianco.

    A

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    1. grazie :)
      è che ci sono storie talmente belle che è un peccato lasciarle scappare

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