mercoledì 15 giugno 2011

Vendo anch'io

Racconto
Credo che quasi tutte abbiano avuto un fidanzato storico, cioè uno con cui sei stata un sacco di tempo e che ora non ci stai più. Questo fidanzato, quando non era ancora storico, mi ha regalato la macchina fotografica, la sera prima della mia partenza per l’Erasmus.
Ho vissuto nove mesi a Oporto, avevo 24 anni e studiavo architettura.
Con questa macchina ho fotografato le nuvole nel cielo e la mia ombra sul muro bianco. Poi ho cominciato a fotografare dalla finestra quello che succedeva sotto la mia casa portoghese. Una rissa tra donne, i tavolini pieni di studenti a bere birra la sera, le baracche del mercato, le cantine del Porto, la regata delle barche storiche, e quelle a vela degli inglesi che risalivano il Douro. Mi sono persa il suicida dal ponte don Luiz, però ho fotografato i palloni di san Joao. La manifestazione per la pace durante la prima guerra del golfo, un festival di saltimbanchi, e pure i fuochi d’artificio. Succedevano un sacco di cose nella piazza della Riberia.
Sono tornata a Milano, con la mia macchina fotografica regalata dal mio fidanzato, e ci siamo lasciati. Ma poi ci siamo rimessi insieme ed è diventato storico.
Quando dopo nove anni ci siamo lasciati davvero ho ricominciato a fotografare.
Facevo l’architetto, avevo 33 anni. Andavo alla montagnetta a correre e Milano era bellissima. Andavo in bicicletta, e mi sembravano belli persino i muri dello scalo Farini, quell’inutile torre piastrellata, il ponte di via Quadrio, i lavori del passante sotto casa.
Fotografavo i lavori notturni alla ferrovia, la gente sul tram, i miei amici della grotta, e tanti ritratti, tutti miei. Quello tipico, il fotografo che si fotografa, o quello fatto allungando il braccio e calcolando la messa a fuoco.


Poi ho conosciuto mio marito, sulla spiaggia di Viareggio, lui era bellissimo, ma per davvero. Aveva una macchina fotografica automatica, e usavamo la sua.
La mia macchina fotografica è finita nel cassetto della ribaltina. C’è stata poco, perché è nata la nostra prima bimba, e allora a rotta di collo, foto a manetta, centinaia di scatti. Quando è nata la seconda figlia ci eravamo attrezzati con una macchina digitale.
Lei, la vecchia, non ha retto il colpo, è tornata nel cassetto della ribaltina.
Quando la prendo in mano mi piacciono il suo peso e la sua materia, mi piace il rumore dell’otturatore allo scatto, mi piace la posizione che assumo quando guardo nel mirino e il modo in cui si fa tenere in mano.
Mi piace così tanto che mi sa che non la vendo. Non è che ci sia affezionata in modo particolare, però so che lei mi guardava ogni volta che evolvevo, mentre io guardavo attraverso lei.
E però magari, vendendola, posso attirare su di me una nuova evoluzione. Magari è magica.
Allora farò così, io la vendo, ma voi non fatevela scappare.

Desidero
Non lo desidero da sempre, anzi questo desiderio si è materializzato stamattina sotto la doccia. Allora mi sono convinta a partecipare.
Il TEDESCO: voglio imparare il tedesco. Prima pensavo che fosse una lingua orrenda, ma ero giovane e non capivo niente.
Quest’inverno ci siamo trovati, mio marito ed io, a dovere cercare lavoro, perché la crisi è globale. Ci siamo informati per andare a fare la stagione in Trentino.
Ma in Trentino si trova lavoro solo se sai il tedesco.
A noi piace il Trentino. Gli architetti conoscono il loro mestiere, le imprese edili anche. Costruiscono le case con il legno e senza impianto di riscaldamento, perché usano i sistemi passivi.
Alla gente piace bere e mangiare, il vino è buono e siamo molto vicini ai luoghi del Prosecco.
Ci sono i lupi, le marmotte e le aquile.
Io vorrei che le mie bimbe vivessero in un posto dove se alzi gli occhi puoi vedere le aquile volare. E ci vorrei vivere anch’io, e pure mio marito.
Così se voglio andare a vivere in Trentino, devo imparare il tedesco.

un estratto da questo racconto è stato letto da Matteo Caccia nella trasmissione "Vendo tutto" del 4 giugno 2010, lo potete ascoltare qui