venerdì 29 giugno 2012

Lungo la strada che costeggia la ferrovia


Lungo la strada che costeggia la ferrovia corre un muro di cemento. Un pino marittimo è stato lasciato crescere nel mezzo della strada e quando arrivi al pino sai che c’è il semaforo e che se devi andare alla stazione devi tenerti sulla sua destra, se vuoi andare al mare invece ti metti alla sua sinistra. Qualche metro dopo il semaforo c’era un grande cancello con le sbarre di ferro, perchè da lì uscivano i treni per andare al deposito di fronte.
A me piaceva andare alla stazione, era sempre motivo di festa, e anche se non lo era perchè era un partenza, era comunque una partenza gioiosa. Ad un certo punto era stata ristrutturata e tinta di rosa, di un bel rosa gioioso anche lui, e con il suo atrio in marmo, e suoi volumi in aggetto in vetrocemento così modernisti e le pensiline in calcestruzzo a vista così essenziali, era diventata proprio una bella stazioncina.
Una stazione piccola, niente a che vedere con quella di milano, 5 o 6 binari e neanche una scala mobile, ma con il profumo di tutte le stazioni di mare.
C’era una passerella per superare il fascio dei binari; collegava questa parte della città, quella verso il mare, con l’altra, a monte, e spuntava proprio poco prima del semaforo del pino. Quella passerella era percorsa spesso a piedi o in bicicletta, e tutte le volte che passavo di lì e vedevo qualcuno passare sulla passerella pensavo: con tutte le volte che sono venuta qui, non sono mai passata sulla passerella, che a me le passerelle sulla ferrovia piacciono tanto.
Ora non c’è più la passerella, e il cancello da cui uscivano i treni per andare al deposito, vicino al pino, è stato sostituito da un grande portone scorrevole in lastre di ferro già arrugginito, e poco dopo il semaforo ci sono tre strutture in tubi innocenti di quelle per mettere le pubblicità, ma mica enormi, 100x150, direi, a occhio.
VIAREGGIO CHIEDE GIUSTIZIA.
Sono tre anni che nessuna pubblicità si permette di sovrapporsi a queste tre parole affisse proprio lì, su quella struttura in tubi innocenti da due lire.
Viareggio si è aggiunta alla lista delle città che chiedono giustizia; devo ammettere che arrivare alla stazione è un po’ meno gioioso, ora.


http://it.wikipedia.org/wiki/Incidente_ferroviario_di_Viareggio 

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/viareggio-gpl-per-cosentino/2103255

mercoledì 27 giugno 2012

Fosse facile

Il Bigio è almeno dieci anni che fa il bagnino al Fortunato e quando l’ho visto la prima volta ho pensato che avrebbe fatto strage tra le ragazze di ogni età.
Ma non siamo in Romagna, siamo in Versilia, e qui i bagnini, per lo più, fanno i bagnini.

Anche a vederlo da lontano diresti che il Bigio fa il bagnino. Lo diresti per la pelle color caramello e i capelli schiariti, il segno degli occhiali da sole e le spalle disegnate dal peso del rastrello che tutte le sere trascina per setacciare la spiaggia. Anche il passo è da bagnino, perché a  camminare a giornate lungo la battigia e sulla sabbia asciutta assumi un passo particolare, il piede si distende e la pianta si allarga, come per un processo di adattamento evolutivo all’ambiente.

Il Bigio è gentile e ha un discorso per ognuno.
Quando parla solleva il mento verso l’alto ed ha l’abitudine di chiudere gli occhi: il Bigio parla ad occhi chiusi. Il suo viso si anima di smorfie di espressione, arriccia il naso e contrae le labbra, così quasi non ti accorgi che non ti guarda. Ogni tanto apre gli occhi, se il discorso si fa acceso, e allunga la mano come per posartela sulla spalla. Ma non ti tocca, si ferma prima, gira il palmo all’insù e separa le dita, come ha dirti “hai inteso vero?”.
Il Bigio è separato e ha un bimbo che ormai è un ragazzino, e somiglia a Mowgli. Senza quel figlio probabilmente il Bigio sarebbe a surfare in Australia o in Messico, ma c’è e lui se ne occupa al meglio che può.

M’è venuto incontro, l’altro pomeriggio, per chiedermi se il marito avesse poi trovato lavoro.
“Macchè” gli dico “son tutti ad aspettare che inizi la stagione”
“E questa stagione non vòle inizia’. Senti là, oggi c’è scirocco, ma anco lo scirocco non è caldo come l’altri anni. Pare quasi grecale, si raffredda al largo e arriva qui che non lo riconosci”
Si ferma e mi guarda con gli occhi chiusi, mi dice che è un casino, che non arriva alla fine del mese, anche con la stagione, la disoccupazione e la ditta di giardinaggio, e per fortuna ha finito di pagare il mutuo.
“ Io ho 42 anni” e apre gli occhi “e per fini’ di paga’l mutuo ho dovuto chiede’soldi a mi’ma’ ” e la mano s’avvicina alla mia spalla “altrimenti la casa finiva alla banca”
E poi Mowgli dove lo facevi vivere?
La mano si ferma: “Ora ni ridò a mi’ma’, a 100 euro alla volta” e il palmo si rivolge verso l’alto “a 42 anni siamo ancora a chiede’soldi a’genitori”.
Ho inteso, intendo bene il discorso, Bigio.
Chiude gli occhi: “Io, quest’inverno, sono stato tre mesi in Messico che anco co’soldi del viaggio, a vive tre mesi in Messico ho risparmiato, e n’ho ridato quasi tutto” poi fa un passo indietro e allarga le braccia: “Conviene esse nullatenenti”
E c’ha ragione il Bigio, conviene essere senza avere. Se solo fosse facile.

mercoledì 20 giugno 2012

sarah connor

Nel '94 m'era presa così, avevo iniziato a fare body building e mi ero rasata i capelli tipo Sinéad O'Connor, perchè il mio ideale estetico di donna era Sarah Connor in Terminator II però con la vocetta meravigliosa di Nothing compares.
Mia sorella Suso s'era comprata una moto usata Honda 750 nera clamorosa, che aveva fatto rimettere a posto e cromare, perchè era il sogno della sua adolescenza e ora se lo poteva permettere.
Taglio nuovo, sella nuova, bauletti, tenda e sacco a pelo, verso l'île de Beauté per due settimane da sorelle.
Traghetto, giro del dito, costa, curve, tante tante curve e altrettanto mare.
Nella sosta al campeggio sulla Restonica, abbiamo conosciuto la "vendetta corsa" che di solito viene attuata per mezzo delle affilatissime lame corse nei confronti di persone che si macchiano di comportamenti poco civili, e ci siamo fiammate la sella nuova (MAI entrare in un campeggio corso alle 11 di sera con il motore acceso della moto).
Nella sosta al campeggio di Pinarello, invece, abbiamo conosciuto la tolleranza corsa. Vedendoci scendere dalla moto, con sorrisi e sguardi di intesa tra noi, che siamo sorelle e ci vogliamo bene, quel bel figliolo che stava alla reception con la sua profonda voce corsa ci spiegò "il campeggio non ha piazzole, potete mettervi dove volete. Questa zona è vicina alla spiaggia e ci sono le famiglie, e i bambini giocano e fanno confusione; questa zone è vicina ai bagni e ci sono i ragazzi che la sera chiacchierano e sentono la musica e c'è sempre movimento. Questa zona dietro il boschetto è tranquilla, c'è molta ombra e potete stare tranquille, per la vostra vacanza di coppia"
Vacanza di coppia: l'intesa familiare era stata letta come intesa di coppia.
Poi in grande scioltezza quel bel figliolo era uscito dal banco, si era avvicinato alla moto e in un corso italianizzato "bel moto, oeh! anch'io ne ho una così. Buona vacanza"
Il giorno del nostro rientro a Milano, con la moto ancora carica, ce ne andiamo a far la spesa all'esselunga di via Fauché, che mia sorella abitava in zona e io ero ospite da lei.
Al primo corridoio ci passa davanti una coppia di pischelli, lui si volta, ci guarda e si ferma. Io guardo lei, guardo lui e chiedo permesso, che mi stava proprio davanti e impediva il passo, lui si sposta e quando gli sono accanto mi da uno spintone sbattendomi contro lo scaffale dell'insalata e sottolinea il gesto di gran classe: "a me le lesbiche mi fanno schifo".
Anche qui l'intesa familiare era stata letta come intesa di coppia, ma con tutt'altra disposizione d'animo.
E' stata forse l'unica occasione in cui ho potuto sfruttare la mia preparazione atletica e (figata) sono diventata, per un minuto, Sarah Connor in Terminator II

sabato 16 giugno 2012

Milano #1


Milano è la stazione sfavillante di marmo bianco e il labirinto dei tapis roulant per trovare l’uscita, Milano è l’aria che mi punge il naso per le polveri sottili, Milano è una ragazza profumata che mi passa accanto e una barbona che mi ammorba subito dopo, Milano sono i tappi di birra incastrati nell’asfalto ammorbidito dal caldo dell’estate e i segni dei cavalletti di chissà quante moto cadute, Milano è un cingalese che “mangiamo pizza offro io a te” al suo amico eritreo, Milano è il puzzo di piscio di ogni anfratto della metropolitana, Milano è la cartina dei mezzi illeggibile e consumata dalle ditate, Milano è tre caucasici su venti persone nel vagone della M2, Milano è una coppia in piedi allacciata in un bacio con lui appoggiato al palo per non cadere durante la frenata, Milano è l’uscita dal Piccolo Teatro che si riversa contro di me controcorrente, Milano è la temperatura che cambia tra la stazione e il parco Sempione, Milano è un sms “sissi cara però non posso fare nottata che domani lavoro” di LaG che m’aspettava prima, Milano è la movida, un tavolino accogliente e una decapottabile d’epoca che parcheggia accanto alla sedia, Milano è torno a piedi non ti preoccupare perchè ho voglia di camminare, Milano è il ponte di via Quadrio che m’aspetta da dieci anni e che non vedevo l’ora di percorrere di nuovo, Milano è venti trenta locali che scavallo perchè non m’ispirano, Milano è “la birra piccola non è una bevuta, è un reato” e un chopito di vodka gimlet offerto dalla crew, Milano è un barista con gli occhi azzurri che mi fa il filo perchè è il suo mestiere, Milano è un trans nervoso che tira manate sulle macchine che si avvicinano e una coppia di volontarie che le chiedono perchè, Milano è una passeggiata compiuta a passo svelto e naso all’insù.
Milano è la città dove ho vissuto per trentacinque anni, dove oggi sono tornata per vedere com’è.

domenica 10 giugno 2012

Vivere, è passato tanto tempo

Al momento di fare i biglietti stanno facendo il sound check è già mi stanno simpatici.
Lo smilzo puntuto con i basettoni, il ragazzone  con i capelli raccolti e la fanciulla con i denti bianchi e lo sguardo rivolto in basso mentre intona il pezzo.
“Tanto quando finisce lo spettacolo delle otto e mezza li troviamo qui che suonano, non vi preoccupate” dico alle ragazze che comunque hanno proprio fretta di entrare al cinema.
Ieri è stato l’ultimo giorno di scuola, festeggiare è dovuto.

Gli occhi ancora bruciano per il maledetto 3D, però basta attraversare la strada per dimenticarsene. Qualche gruppo di varia gioventù e non più tale nei pressi della pedana, due botti da vino a far da tavolo, coperte di bicchieri e sgabelli high-tech sotto l’ombrellone che protegge dalla guazza marina.
Un sacco di cellulari accesi per condividere l’evento e una chitarra, un’armonica e una voce.

 “ma tu le conosci queste canzoni, mamma?”
“li conosco sì, hanno la mia età, questi pezzi” e fanno parte del doppio rosso dei Beatles, ma che glielo dico a fare.
I tre sono proprio bravini, e io non ho per niente voglia di tornare a casa. Ci uniamo ai gruppi, le ragazze ipnotizzate dai suoni allegri che volano dalle casse.

I tre musici passano con disinvoltura quasi sfacciata dal medley di Love me do e Can’t buy me love, a Life is life che è un pezzo che ho sempre odiato, ma la fanciulla che ora tiene lo sguardo dritto avanti a sé ha una voce che mi ricorda Patty Smith e anche un po’ Siouxie. Per cui va bene anche lifeislife, nana nananà, visto come la interpreta.
Non ho la macchina fotografica, ovviamente, e a poco sarebbe servita. Non potrei  usarla per fissare la sensazione di aria fresca sulla pelle e di allegria che m’arriva da questa stradina laterale di Viareggio. Ma ho il blocchetto degli appunti, e persino la penna, e decido di usarli. Osservo e fisso nella memoria, e ogni tanto scrivo, perchè stasera ho proprio voglia di raccontare.

Il ragazzo che esce dall’enoteca con la bevuta nel bicchiere di plastica come da normativa corrente ci ha messo del suo, e con la torcia puntata sul fondo del bicchiere ha trasformato un gin tonic in una bevanda da cartone di Tim Burton.
La ragazza che si avvicina alla botte porta un vassoio di sangria e stuzzichini, ha delle scarpe esagerate verde smeraldo tacco 12, il vestito a sottoveste in tinta e la testa che omaggia Amy Winehouse. Intorno a lei sono tutte scarpe di corda o zeppe con unghie tinte, ed io proprio stasera ho liberato i miei piedi dalle scarpe autunno-invernali e l’infradito da tedesca comincia a farmi friggere la base dell’alluce.
La voce del basettone viaggia su Generale, in compagnia dell’armonica, ed Emma è contrariata perché ha saltato una strofa.
Quel tipo che rassomiglia a Donald Sutherland in Mash mi guarda senza vedermi, e canta felice motocicletta, dieciaccapi senza sovrastare la voce della fanciulla, che ogni tanto trema per lo sforzo e la tensione. Anch’io avrei sempre voluto cantare questo pezzo davanti ad un microfono e ad un pubblico, fin da quando lo sentii al concerto dei Litfiba al Rolling di Milano. Un milione di anni fa, o forse due.

Le ragazze hanno sete e pure io.
M’affaccio dentro, il locale è piccino, ha le pareti bianche un sacco di scritte rosse sui muri. Ma mica me le posso copiare tutte, anche perchè l’omino alla cassa mi guarda con le pupille a punto interrogativo.
“la birra ce l’ho solo artigianale”
“allora un prosecco, e un bicchiere d’acqua”
La vita è troppo breve per bere vino scadente, mi si dice con la vernice rossa, ma questo prosecco non onora il motto esposto sull’architrave. Wish you where here mi chiama da fuori, io rispondo. Esco, e un po’ devo cantare perchè i Pink Floyd sono i Pink Floyd.
Il Pericolo Biondo mi tappa la bocca che la metto in imbarazzo e io torno buona buona ad ascoltare e memorizzare.
Comunque ho una signora voce, e che cazzo, e potrei starci io, lì su quella pedana di legno, a cantare canzoni più vecchie della mamma della fanciullina che comunque ha tutta la mia approvazione.
“ora un classico” ci dice sorridendo ( la claque applaude)  “e se non viene bene è colpa dello Stefanini”, che sarebbe il basettone smilzo e puntuto, e mi accorgo ora che ha una maglietta con due tartarughe che si accoppiano: slow poke, che non ho idea di che vuol dire, ma mi fa ridere.
Sul tema del Mago di oz lo Stefanini si sdà e con voce alla Louis Armstrong  ci canta quant’è meraviglioso questo mondo e la fanciulla ride e non riesce a cantare la sua strofa e anch’io e le ragazze ridiamo, e anche la claque.
Ora posso cantare, con il permesso del pericolo, perchè la fanciulla lo chiede. Ora sembra proprio Siouxie, intonando The Passenger, e ci dice forza cantate il ritornello.
Così Donald Sutherland, il ragazzo dal gin tonic fluorescente, Amy Winehouse, i giovani e non più tali e anche un po’ le ragazze cantano lalalala lalalala-à.
Guardo il Pericolo Biondo che ha sollevato la testa. Gabbiani in formazione stanno volando sopra di noi, direzione mare. Sono bianchi e lucenti come la luna.

Vivere, è passato tanto tempo