venerdì 14 settembre 2012

L. world


L. ha la voce bassa e calda, leggermente arrochita.
E’ una specie di malattia professionale, ho scoperto, la voce roca. Colpisce chi parla molto per mestiere, per abitudine o per attitudine, come le parrucchiere, le estetiste, i logorroici, e gli operatori sociali.
L. è un operatore sociale, collabora con il comune di Lucca e lavora nella casa di Cura di Santa Maria a Colle.
“Mi fanno andare a Lucca per tre ore oggi, mannaggia a loro, ma è troppo importante. Sto seguendo un progetto, è per uno psichiatrico” mi racconta davanti al cappuccino, lei con la sua voce roca.
“Si chiama C., e vedessi che bel ragazzo è. Io a volte mi incanto a guardarlo, ma la malattia mentale è strana, non la vedi, è tutta qui” mi fa puntandosi il dito indice sulla fronte.
“E’ viziato, sapessi com’è viziato. E’ difficile stare con lui, ma a me piace. Sta lì, in reparto, e il progetto prevede che gli operatori lo portino a giro. I miei colleghi lo portano da Media World, ti rendi conto? Vanno a fare colazione e poi s’infilano lì dentro. Ora io capisco nei giorni di pioggia, ma con questo cielo e questo sole, come fai a infilarlo da Media World. Io penso sempre: ma se avessi un figlio che vive in reparto, e fosse affidato agli operatori, come mi sentirei se lo portassero da Media World?” e raccoglie le sue cose appoggiate sul tavolino del bar.
“Io ci parlo, con C., le cose gliele spiego, e gli ho detto con me scordati di andare al centro commerciale. Ora, dimmi te eh, i suoi gli hanno regalato un galaxy, e lui non sa che farsene, non lo sa usare, però gli piace la fotografia, allora io lo porto fuori. Ieri l’ho portato a veder il lago, abbiamo scollettato a Balbano e quando siamo arrivati in cima, che si vede la costa e il lago e i campi di girasole ci siamo fermati, e  lui con il suo galaxy ha fatto le foto e ci siamo divertiti. Poi l’ho portato a cavallo, e all’oasi della Lipu a Massaciuccoli, insomma lo faccio stare all’aria ad osservare le cose”
Stiamo pagando ora, e ci salutiamo.
Incontro spesso L. al bar, e per quelle alchimie che si creano tra persone che si riconoscono affini, ci siamo trovate a chiacchierare, e quando la incontro faccio tardi al lavoro, però sorridendo.

Al lavoro ascolto Melog, su radio 24; Nicoletti mi piace.
Oggi era giorno di manifestazione a Roma. Il coordinamento delle famiglie dei disabili era davanti a Montecitorio, chiedendo le ragioni dei tagli operati all’assistenza.
Nicoletti ha un figlio autistico, e spesso tratta l’argomento, non per interesse personale ma perché è un tema su cui necessariamente è portato a riflettere.
In trasmissione non ha dato voce ai disperati, ai casi umani, non ha cercato consenso dato dalle lacrime e dalle storie che sembrano uscite da un romanzo di Victor Hugo. Ha fatto parlare persone lucide nelle loro analisi, persone coinvolte emotivamente ma consapevoli di lottare per un diritto fondamentale per ogni cittadino. Il diritto alla dignità.
Poi, sulla sua pagina FB ha postato due sms pervenuti durante la trasmissione.
Uno recitava: “Nicoletti, se tu avessi una figlia velina parleresti solo di figa”

Quando ho letto questo sms, non ho pensato ce lo meritiamo Alberto Sordi, ma ho pensato a Media World, al galaxy, ai cavalli e al lago, e all’autoscatto di L e C. di fronte alla piana di Massaciuccoli.
Voglio un mondo di L., non un Media World.

lunedì 3 settembre 2012

You can't always get what you want

Da ieri sera ho in mente “You can’t always get what you want” dei Rolling.
Da quando ho visto Il grande Freddo, è la musica che associo a questo genere di occasioni, i funerali. Così la canto percorrendo i tapis roulants della stazione e aspettando Ugo che mi passa a prendere al capolinea della 42.
You can’t always get what you want, mentre divaghiamo in macchina, per non pensare troppo a quello che andiamo a fare, e mentre litighiamo con il navigatore e cerchiamo parcheggio e ci incamminiamo lungo il marciapiedi.
You can’t always get what you want, mentre ci fermiamo al bar accanto alla chiesa, e mangio il toast perchè non ho ancora mangiato e bevo una coppetta di prosecco perchè ce n’è di bisogno.
You can’t always get what you want, mentre ora sì che parliamo di Betta, che mancano 5 minuti all’inizio della cerimonia, e poi vediamo Elena e Giovanna passare davanti alla porta del bar, entrano e ci abbracciamo allora sì che scoppiamo a piangere.
You can’t always get what you want

A messa ci vado ormai solo in queste occasioni ma il rito lo so a memoria, dopo 15 anni passati ad ascoltarlo 52 volte all’anno l’ho imparato persino io, e durante l’omelia, ora come allora, non c’è verso di seguire il discorso dell’officiante e vaga il pensiero, vaga.

You can’t always get what you want, non la intona il coro delle ex ragazze amiche mie, ma è come se la intonasse, perchè quando parte il canto alla comunione mi si stringe la gola e mi manca il fiato. Il suono di quelle voci si diffonde con l’acustica tipica della chiesa e mi scaraventa in un’altra chiesa e in un altro tempo, una madeleine sonora sorprendente.
Volti e nomi mai dimenticati di una giovinezza mai sepolta, amici e compagni di oratorio del tempo in cui gli oratori erano centri di aggregazione. Io sono qui, in chiesa, in piedi davanti alla panca, li passo in rassegna tutti. Qualche capello bianco, qualche ruga o qualche chilo in più, riconosco i volti, di alcuni ho scordato il nome e chiedo: Ugo ma quello?, ah è vero, si chiama così.
E’ Betta che oggi mi accompagna in questo viaggio a ritroso, è grazie a lei che rivedo il mio mondo com’era, è stato il suo sorriso a portarmi qui, e i suoi occhi azzurri e il suo profilo particolare, il suo incedere mascolino, e la delicatezza femminile dei suoi pensieri.
E’ Betta madre figlia sorella zia moglie amica collega ad aver portato tutte queste persone qui, ad aver regalato a ognuna una parte di sé, con un sorriso accanto a una lacrima. E’ lei a venir coperta di fiori bianchi, salutata con un bacio lanciato dalla sorella e con un tesoro celato in una scatola da scarpe da sua figlia.
Noi, i suoi amici, non avevamo portato fiori, ma io avevo portato un pensiero dentro di me.
Tornando alla macchina, che si sa come vanno a finire queste cose, poi ti fermi a bere perché è una vita (proprio una vita) che non ti vedi e si approfitta dell’occasione e ci sono i ricordi e le risate tra i singhiozzi e i “ma tu che lavoro fai quanti figli hai dove vivi?” e i buoni propositi per il futuro, ecco, in quel momento lì ho detto il mio pensiero.
E’ da un qualche tempo che lo voglio fare, e oggi è il giorno giusto. Ne parlo con gli altri, Claudia dice subito sì, Ugo Elena Emanuele Giovanna Alessandro sono tutti d’accordo. Dieci euro a testa, lunedì passo alla posta e pago con il bollettino.
Il nome di Betta sarà scritto su una tesserina speciale, perchè Betta, come tante altre ragazze, non c’è più per un motivo preciso, e la tesserina con il suo nome è la tessera dell’associazione Annastaccatolisa.

You can't always get what you want
But if you try sometime
Well you might find
You get what you need