lunedì 26 settembre 2011

Cuore di mamma

Accese il fuoco, si guardò intorno, sistemò il plaid accanto a sé, infine si distese. Guardò la ciotola piena di un fluido denso e trasparente. Un tonfo improvviso la fece sobbalzare, drizzò le antenne ma non si sentì più nulla, così prese la stoffa soffice e si coprì le estremità. Fuori  l’inverno cominciava a farsi serio, il prato era coperto di un manto nevoso soffice e spesso.
Chiuse gli occhi. Tra poco avrebbe dovuto scendere a controllare come stavano le piccole. Finchè non le sento agitarsi vuol dire che dormono. Le pareti scure intorno a lei si fecero sempre più sfuocate, e alla fine si addormentò.
La svegliò la furia del vento, poi un rumore ritmico, il ripetuto bussare alla porta. Si alzò per nulla incuriosita. Eccoci. Borbottando aprì la porta. Il vento gelido le si insinuò in profondità mentre immobile fissava l’ombra scura di fronte a lei: tremava come una foglia e aveva uno sguardo supplice. Le ricopriva le spalle un delicato velo, irrigidito dal gelo.
Le prese il polso e la fece entrare. Senza parlare sorrise soddisfatta e la portò vicino al fuoco. L’ospite si rianimò un pochino e distese gli arti intirizziti verso il calore del focolare. “Ora stai qui buona, scaldati. Mi spiegherai tutto più tardi” la sua voce pacata era una carezza lieve, inaspettata. Le consegnò la ciotola; l’ospite affamata ci si avventò, sorpresa e riconoscente.
Si udì un tramestio veloce provenire dal piano inferiore. La padrona di casa si diresse verso il lungo corridoio buio in fondo alla stanza. “Torno subito” la rassicurò e scomparve. Un leggero frusciare, una nenia monotona, poi di nuovo i suoi piccoli passi rapidi.
“L’inverno è arrivato così improvviso quest’anno” sussurrò l’ospite distesa ormai immobile a terra. Aveva una voce roca, l’ombra della potenza dimostrata nelle stagioni passate.
“E’ quello che dite tutte” ribattè acida la formica, avvicinandosi. La sollevò con le mascelle poderose e la fece scivolare nella voragine apertasi accanto alla coperta. Un tonfo sordo, un veloce fruscìo, il suono secco delle zampette che venivano strappate.
Ecco, ora le piccole staranno buone ancora per un po’-sogghignò fredda, soddisfatta- L’inverno sarà lungo ma verranno altre cicale imploranti a elemosinare pietà a questa porta.

 

 






questo raccontino è stato pubblicato in "365 storie cattive", AA.VV., 2/2011
trovate maggiori informazioni qui: http://blog.aisea.org/articolo.asp?articolo=46

sabato 17 settembre 2011

Bellissima

Giro in bicicletta in pineta e gelato alla rotonda. Al primo sole è praticamente un obbligo, sono quei rituali che è bello reiterare.
Di fronte alla gelateria c’è l’Hotel Turandot, tre stelle, l’unico hotel sulla Marina di Torre del Lago.
Di fronte all’hotel c’è la scalinata, e sulla scalinata un grumo di pizzi e guêpière, penne di struzzo, trampoli e french nails disordinatamente in coda. E’ tutto un chiacchiericcio, un osservar l’altrui, e un certo fremere contenuto.
In cima alla scala, a lato della porta a vetri, una ragazza in tuta grigia, walkie talkie e cartelletta, smista la varia umanità assiepata. Fa un cenno al tipo alto e calvo con l’auricolare che le sta di fronte e il tipo ne fa entrare due, una dark lady e una supertrans. La variazione di densità sulla scala provoca qualche riposizionamento con conseguente malcontento. Ma il tipo alto e calvo ripristina la condizione di ordine.
Altro cenno, altra coppia.
"Chi sono mamma?"
"Si direbbe un casting"
"Sì, per una scena di un film che devono girare al Frau", ci informa l’omino della gelateria.
Ci mettiamo sedute al tavolo fuori, il Pericolo Biondo si cosparge di cioccolata la maglietta, Acqua Cheta ed io osserviamo l’evolversi della situazione.
Un casting. Qui, ora. Questo è un segno del destino. Ora finiamo il gelato e le porto là, saliamo i gradini facendoci strada tra la folla e guadagniamo la pole position, la ragazza con il walkie talkie vede le mie bambine e rimane folgorata. "Presto entrate" ci fa "stiamo proprio cercando due bambine per un film che andrà in produzione quest’estate". Figata, così non devono neanche saltare la scuola. Allora entriamo e il responsabile del casting le vede e dice "perfette". Un futuro nel cinema, per le mie belle perle. Sì, è proprio un segno del destino.
Intanto la ragazza ha chiuso il casting e i rimasugli se ne vanno strascinando per strada la propria delusione.
Poco male, vorrà dire che avranno più attenzione per le mie perle, ora. Certo la maglietta al cioccolato non è il massimo, ma rende tutto spontaneo, imprevisto.
"Andiamo a vedere mamma?"
"Va bene cara, finite il gelato"
Come una Nannarella contemporanea, le prendo per mano e attraverso la strada. Mi ci vedo nella parte, con le borse sotto gli occhi, i capelli spettinati e le creature al mio fianco. Cammino, con la schiena dritta e il passo deciso. Raggiungo la scala, saliamo.
"Le bambine erano curiose di vedere dentro che c’è".
"Come vi chiamate? Che bei nomi! Allora, vi spiego: qui stiamo cercando delle comparse per un nuovo film italiano che uscirà a settembre e dobbiamo girare una scena a Torre del Lago, nella discoteca Frau. Ah, ma và? E quella accanto al bagno dove andate con i nonni? No signora, è alla sua prima regia, non credo che lo conosca. Gipi, un autore di comix".
Le mie bertuccine sono annichilite: dentro, davanti alle petineuses, tra nuvole di lacca e brillantini, stanno finendo l’acconciatura a una stangona sui trampoli, infilando la guêpière nera alla supertrans e spandendo il rossetto nero sulle labbra di Morticia Addams.
Le comparse sono pronte, la supertrans mi passa vaporosa accanto con i suoi due metri buoni tacco incluso e sul viso di Acqua Cheta si dipinge un’espressione di sgomento.
Sono sicura che Nannarella non si è mai trovata a dover dare delle spiegazioni così impegnative.

venerdì 16 settembre 2011

Sinonimi

E’ cominciata la scuola, con conseguenti 13+13 km di trasferimento casa scuola ritorno incluso.
(si va vivere fuori dalla città un po’ per questo, per potersi spostare in macchina il doppio)
Essendo madre talebana per natura e squattrinata per sorte, non ho mai dotato il mezzo di trasporto dell’autoradio. All’acquisto ostava una remora latente: il pensiero di essere costretta, per quieto vivere itinerante, al repeat incondizionato de “il coccodrillo come fa”, si scontrava con la mia idea di educazione.
In macchina, per 20 min a viaggio con prole in età scolare, si possono fare altre cose: si ripassano le tabelline, si canta, si litiga, si guarda il paesaggio, si gode del silenzio. Molto si parla.
Argomenti ce ne sono tanti, ma in questo periodo va per la maggiore e di pari passo con il programma ministeriale, il tema de “i sinonimi”.
-Ogni parola ha il suo significato, a volte preciso, altre volte sfumato. Ma sinonimi in senso stretto non esistono. Ci possono essere parole che, per affinità di senso, possono essere usate per sostituire delle parole simili, per rendere un racconto più elegante o più accattivante o fluido. Ma le usi solo dopo aver definito un oggetto o una azione nei suoi veri termini. Per esempio “casa” e “abitazione” definiscono lo stesso oggetto, ma “casa” ne sottolinea la “materia”, “abitazione” invece pone l’accento sul suo “uso”. Oppure tutti gli alberi sono piante, ma non tutte le piante sono alberi, ci sono i cespugli, le piante erbacee…”

-Ma, hai presente “soffice” e “morbido”? non ti danno l’idea di una cosa che quando la tocchi è bella, morbida, soffice? Ecco, la maestra ha detto che questi sono sinonimi
-Sì, la maestra dal suo punto di vista ha ragione, però “soffice” lo dici della neve, mentre “morbido” lo dici di un cuscino.

In effetti il termine “pedante”, nella sua accezione di aggettivo sostantivato, può diventare sinonimo di “madre”.

lunedì 12 settembre 2011

Ecco, finita.


Non ricordo un ultimo giorno di vacanza con il brutto tempo.
Magari aveva piovuto per tutta l’ultima settimana, e la temperatura si era abbassata e bisognava cominciare a coprirsi un po’. Si aspettava che smettesse il temporale per poter andare in bicicletta nelle pozzanghere, o per andare a vedere il mare mosso e a sentire il libeccio sul viso. O si andava Viareggio in motorino, da Blue Point a comprare le cavigliere che presto non avremmo più potuto portare perché davano fastidio con le calze, o si andava al mercato a cercare i pantaloni di velluto, che in quella bancarella dove si serviva nostra madre i prezzi erano ottimi e ci vestiva tutte e quattro con poco. Si cominciavano a smontare il tavolo del giardino e a riporre le sedie e si svuotava la cabina. Le pulizie, le valigie, il gatto,  i vocabolari di latino e greco e le versioni rimaste da fare per gli esami di riparazione.
Ma l’ultimo giorno, quello prima della partenza, è sempre stato bel tempo.
L’ultimo bagno, l’ultimo gelato, l’ultimo gioco o l’ultimo bacio, le ultime conchiglie, l’ultimo aperitivo, l’ultimo tramonto, l’ultimo sguardo al mare.
Poi, il giorno dopo, l’autostrada.

Ecco, oggi è l’ultimo giorno di vacanza, ma non sarò io a partire. Partiranno gli altri.
Se vivi in un posto come questo, vicino al mare, la partenza degli altri la aspetti per tutta l’estate. Torni ad essere padrone delle strade, dei bar, del mercato, del molo e del lungomare. Sai che l’inverno che arriverà non sarà rigido, e la possibilità di andare sulla sabbia a passeggiare ti fa sentire speciale.
Certo, magari non lo fai perché la vita è la stessa per tutti, dura. Però potresti.

Eppure non vedi l’ora che gli altri tornino, così, per sentirti un po’ al mare anche tu.