venerdì 30 novembre 2012

I sogni liberati


A Oporto la notte di São João succede una cosa magica. Ora, io lo so che siamo a dicembre e San Giovanni è a giugno e non c’entra niente. Ma è un po’ che ci penso e stasera lo racconto.
A Oporto la notte di São João succede una cosa magica, la città è in festa e le strade sono sature di persone, le vie profumano di basilico, sarde arrosto e cipolle alla griglia. Da qualunque parte ti giri vedi persone che ridono e si prendono a martellate. Sono tutti armati di martelli di gomma con il fischietto e si martellano la testa a vicenda. Creano corridoi di martellatori e per attraversare la piazza devi passare in questi corridoi e i martellatori ti martellano. E’ così.
C’è un putiferio inaudito e folla stipata e caos, fischietti e martelli.
Poi c’è il silenzio, è un silenzio improvviso, cresce tra i martelli che smettono di picchiare, è un silenzio fatto di mille e mille fiati sospesi, occhi attenti e bocche socchiuse.
A Oporto la notte di São João succede una cosa magica. Palloni di carta velina si gonfiano al calore delle candele. Accendi la candela alla base del pallone e poi te ne stai lì, a tenere la carta velina facendo attenzione che la fiamma non la bruci. All’inizio il pallone è pesante e lo tieni sollevato e fai pure fatica, poi l’aria all’interno si scalda e il pallone diventa leggero, senti che vorrebbe volare ma ora lo devi trattenere. Non puoi lasciarlo andare così, se non è ancora gonfio, non ancora pieno, non ancora abbastanza leggero. Ma è sempre più difficile tenerlo perchè lui si sente quasi pronto e vuole volare.
E’ questo il momento in cui la folla tace e il silenzio sale, quando il pallone è quasi pronto ma non ancora, quando è più alto il rischio che prenda fuoco, perché ormai la candela ha una fiamma altissima e anche una lieve brezza può farla impazzire.
In tutto quel silenzio capisci che lo devi lasciare, che non lo trattieni più, allora ritrai la mano e lo lasci andare e mentre si solleva, il silenzio diventa un sospiro sospeso, poi un sorriso, poi un applauso e tanta emozione.
Gli abitanti di Oporto dicono che i palloni di carta velina sono i tuoi sogni, che puoi trattenere finchè sono pesanti, ma quando diventano leggeri devi farli volare via.


ringrazio
marianafeijo che mi ha permesso di usare la foto, che ho preso qui:

http://ofsplendourinthegrass.wordpress.com/2012/06/24/s-joao-porto-5/

giovedì 22 novembre 2012

Che bello, è di nuovo Natale.

Quando entro c'è solo una ragazza prima di me, bella, alta, sorridente, con i capelli neri come il corvo. Guarda la sua stampa e controlla la qualità della foto.
"Perfetto così, ne faccia 100".
La signora imposta la fotocopiatrice e poi chiede a me, che devo solo stampare un file. Di solito non vado in copisteria, ma di solito quando ho fretta finisce la cartuccia della stampante.
Consegno la mia chiavetta e spiego cosa mi serve. La signora è nervosa, le sto chiedendo una cosa troppo complicata, tipo visualizzare i file per dettagli e non per icone, lei va nel panico, si crea la coda, io cerco di farle capire tra un ooom e l'altro che non è complicato, la signora cambia tono e diventa acida, poi isterica, poi maleducata e mi ridà la chiavetta
"Dietro l'angolo c'è un'altra copisteria"
Esco, mi fermo a bere il caffè, mi fumo una sigaretta, visualizzo Michael Douglas con la mazza da baseball nell'emporio dei coreani, che è un pensiero tanto liberatorio, entra la bella mora con le sue 100 fotocopie.
"Posso lasciare il curriculum?"
La mestizia si dipinge sul volto del barista.
Lei prende la porta con passo determinato, io pago, esco, cerco l'altra copisteria e in 38 secondi netti ho ciò che mi serve, il curriculum.
"Lo so, quella signora non ha idea di come funziona un pc" mi dice solidale l'omino della concorrenza.
"Ne ho avuto sentore" mentre prendo riconoscente i mie tre fogli in formato A4.
Torno sul marciapiede tirando un sospiro e quasi sbatto contro la bella mora
"Ce l'hai fatta?" mi chiede sorridente e positiva
"Non era difficile" le rispondo.
Mi saluta, riprende il suo passo determinato ed entra nel negozio di abbigliamento accanto.
"Posso lasciare il curriculum?" la sento dire mentre m'avvio.
Che bello, tra un mese è Natale, inizia la ricerca del lavoro stagionale.

lunedì 19 novembre 2012

Cosa c'è dietro le cose


 
Era una di quelle giornate in cui tra un minuto nevica e c’è elettricità nell’aria. Puoi quasi sentirla, mi segui? E questa busta era lì, danzava con me come una bambina che mi supplicasse di giocare, per 15 minuti.
E’ stato il giorno in cui ho capito che c’era tutta un’intera vita dietro ogni cosa e una incredibile forza benevola che voleva sapessi che non c’era motivo di avere paura, mai. Vederla sul video è povera cosa, lo so, ma mi aiuta a ricordare. Ho bisogno di ricordare.
A volte c’è così tanta bellezza nel mondo, che non riesco ad accettarla (...)
American Beauty, 1999

domenica 18 novembre 2012

L'apolide in quechua

2 seconds Quechua verde militare, mountain bike e un filo di fumo che si alza dritto al cielo, è quello che mi appare oltre le dune, mentre cammino verso la riva.
Giro intorno all’accampamento tenendomi alla larga e faccio un paio di scatti cercando di non farmi notare troppo.
Non sto inquadrando te, uomo davanti al fuoco, sto inquadrando le montagne, le nuvole, i corvi. Non mi guardare, io non ci sono. Ecco, vedi? Me ne vado. Mi metto su questo tronco lontano da te, non ti disturbo, e guardo le mie ragazze costruire una capanna.
Sto riflettendo sul bisogno ancestrale dei bambini di edificare un rifugio sicuro e riconoscibile in un qualsiasi luogo preso grande a piacere, quando vedo l’uomo del fuoco avvicinarsi a passo deciso.
Lo sapevo, ora mi fa una partaccia.
Invece sorride e mi saluta, in inglese.

“Hi!” rispondo sperando che sia uno come me, cioè con una conoscenza minima dell’inglese, e mi preparo all’uso del linguaggio dei segni. In effetti anche lui sa poco inglese, francese, tedesco e italiano, però se hai voglia di comunicare un modo lo trovi.
 
“Guarda, ti ho ripreso da lontano quasi non ti si riconosce” gli dico io giustificandomi e gli faccio vedere le foto. 
“Sì, sì molto belle: è il mondo, è bello” mi dice in un esperanto autogestito. Le sue mani sono nere di terra, i vestiti pieni di polvere, il viso segnato dalle notti in tenda e dai chilometri in bici, la barba lunga, gli occhi ridenti.
“Da dove vieni?”Elenca una serie di luoghi di cui memorizzo solo l’ultimo, Saint Tropez.
“Sì ma dove sei nato?” e mi dice il nome di un posto che comincia con la P.
“Non conosco la tua città”
“Nessuno conosce la mia città. Ora c’è la guerra, non è più la mia città, il mondo è la mia città”
Un apolide in quechua.
“E’ Viareggio?”
“Torre del Lago” rispondo tirando fuori il mio quaderno per appuntare il nome per lui.
“No, qui” e mi porge il suo quaderno degli appunti di viaggio. Poi tira fuori un foglietto con nome e cognome, il suo contatto facebook.
“Se pubblichi le tue foto taggami, faccio vedere tutto questo mondo al mio mondo. Arrivo al Vaticano domenica, e al Vaticano posso guardare”.
Gli dico "certo" e lui si alza e ritorna verso la tenda, si volta per salutare allora gli chiedo di nuovo il nome della città.
"Oh, guarda su facebook" mi risponde sorridendo. 
Apolide, esule di guerra, viaggiatore, pellegrino e con un grandissimo desiderio di condividere.

mercoledì 14 novembre 2012

Lido di Camaiore #1

Sono ancora sulla soglia e il commesso n.1 mi ha già salutato anche se è al telefono e sta dicendo che no, quel titolo non è arrivato, di richiamare tra un paio di giorni.
Riattacca e gira intorno al banco, prende il bicchierino con il caffè, versa lo zucchero. Dal fondo del corridoio arriva il commesso n.2 con il suo caffè. Allunga il braccio e chiede “vuoi?”.
Io mi volto per vedere chi c’è alle mie spalle, ma sta parlando proprio con me e “no grazie”, trattenendo la cit. “il caffè mi rende nervosa”.
Sono sui pattini, sto sudando con un cinghiale, Acqua Cheta e Pericolo Biondo sono euforiche e sfrecciano beate tra scaffali di libri. Un labirinto fatto per il divertimento: partono, inchiodano, prendono un libro, lo guardano, lo posano e ripartono.
“Avete questo?”
“No”
“E quest’altro?”
“Neppure, però belli i pattini. Li usavo anch’io, andavo fino in Darsena e ritorno, e dopo ero felice” e il commesso n.2 beve il suo caffè rimuginando su un futuro ritorno al mezzo e alla successiva felicità ritrovata.
Mi metto a cercare qualcosa, ma non ho tempo e sono poco concentrata e soprattutto le rampe tra un livello e l’altro della libreria sono una tentazione incontrollabile. Faccio due, tre giri dissimulando l’attacco di idiozia dietro un serio interesse per qualche titolo sparso, poi mi contengo e richiamo inutilmente all’ordine la prole.
“Oh, be’, se Grillo fosse annegato”
“o Vendola condannato”
“i loro partiti sarebbero morti”
“senza figure di riferimento”
Parlano come Cip e Ciop, alternandosi nelle frasi. Se ne stanno qui tutto il giorno, orario continuato anche il sabato; ormai saranno una sola persona, si somigliano anche un po’. Però si sorridono spesso, scherzano, sono allegri e hanno voglia di chiacchierare e questa libreria non avrà l’ultima sfumatura del momento, ma fa prezzi scontati, ha scaffali immensi carichi di libri e corridoi strettissimi che si fanno conquistare. E’ talmente satura di libri che non ha pareti, solo costole e colore ovunque, ha due rampe fichissime, i commessi discutono di primarie e ti offrono il caffè.
Quando riesco ad acchiappare i mostri per riconquistare la macchina, me ne esco velocemente approfittando dell’attimo.
Cip e Ciop si affacciano alla porta per salutarmi.
La prossima volta torno con la calma e accetto pure il caffè.

domenica 11 novembre 2012

Sabato al villaggio


Sabato, giorno di posta e di spesa; prima la posta ché Equitalia c’è, e ti uccide con l’onda, e poi la spesa ché dopo Equitalia lo shopping compulsivo non è più possibile, ma un salto alla Coop me lo permetto.
Deserta. Non ci si crede, la posta è deserta. Prima di me solo un’anziana signora, che mi aveva sorpassato con scatto inaspettato proprio sulla porta.
“Ma tanto non c’è nessuno, mica ci scanniamo, giusto?” domanda fiera della pole position davanti allo sportello.
“Non ci scanniamo perché non c’è nessuno, altrimenti ci saremmo graffiate” le rispondo ammirata per la velocità di spostamento.
Così aspetto che abbia fatto, l’anziana signora scattante che solo per questo merita la mia simpatia. Lei si sbriga e andandosene mi sorride “Auguri per la sua vita” e mi è sembrato un saluto proprio carino. Come cambia tutto, alla posta, quando è deserta.
Sul cartellino appeso alla maglia dall’altra parte del vetro c’è un bel nome, Rosine Mireille. Rosine indossa un copricapo, una specie di turbante blu, niente capelli lì sotto e niente sopracciglia, il viso è proprio magro, gli occhi sono segnati ma lo sguardo è attento. Io pago, ringrazio, osservo e penso che forse sta guarendo, se è tornata al lavoro, Rosine. Ti giro il saluto appena ricevuto.


Il ragazzo del banco degli affettati ha un viso indimenticabile, come un ritratto di Picasso del periodo cubista, e ha una voglia di chiacchierare che spiazza.
“Se poi ha bisogno di qualcosa di particolare per l’aperitivo, può aggiungere qualche fetta d’arancia e un po’ di aceto balsamico”, ma la signora non s’entusiasma. Mannaggia, sono arrivata a discorso iniziato e mi sono persa gli altri ingredienti.
Quando è il mio turno mi spiega perché l’arrosto di tacchino al banco costa più di quello confezionato.
“Questo vede” e mi mostra l’arrosto picchiandoci sopra con la mano aperta “è grosso, lo fanno con il tacchino maschio, è più pregiato. L’altro è piccolo, è fatto con la femmina e costa meno per questo. Serve altro?”
Mentre me ne vado sta già spiegando al signore dopo di me come fanno il lardo di Colonnata.
Tutto quest’entusiasmo per il lavoro di banconiere alla Coop lo trovo lodevole, e non so, sembra quasi gli sia stato trasmesso dal padre. Magari aveva una macelleria tutta sua, o un piccolo alimentari qui, in paese. Quando torno in zona per pagare, ancora racconta, allargando le braccia come a far segno grande così o per abbracciare il mondo, davanti a una coppia di trans che lo osservano in silenzio.

sabato 10 novembre 2012

Uomini soli #2

Due pescatori, il primo è anziano, con la schiena piegata in avanti verso la riva, l’altro è più giovane e se ne va con la schiena bella eretta, malgrado la sacca gigantesca.
Un tizio, con il muso da topo, dentro una tipo blu parcheggiata di fronte al mare, proprio di fronte alla passerella, proprio di fronte al sole ormai basso. Il finestrino aperto, il braccio fuori dal finestrino, la sigaretta fra le dita, una canzone di Giorgia a palla nell’autoradio. Guarda il tramonto fumando e ascoltando Giorgia.
Il proprietario dell’Adagio Lounge Bar, fermo sulla porta del locale, fuma tenendo la sigaretta tra indice e medio, alla base delle dita, e tiene le gambe leggermente divaricate, come faceva mio padre quando fumava. Venerdì, ora dell’aperitivo, il caffè è deserto: ottobre è un mese difficile.
Un ragazzo, bellissimo, in bicicletta. Vestito con cura, una maglia che cade a pennello sul busto magro, un bel paio di pantaloni. Nordafricano, forse egiziano; i lineamenti sottili, gli occhi scuri, le labbra disegnate, tiene la mano destra sul manubrio e la sinistra nella tasca dei pantaloni. Osservo l’arco perfetto delle sue sopracciglia, mi fisso guardandole e lui guarda me mentre pedala dall’altra parte della strada. Socchiude la bocca e tira fuori la punta della lingua, e la passa sul labbro superiore, lentamente, pedalando e guardandomi.
Un ragazzotto pingue con una maglia gialla e l’ipod, sudato; abbiamo lo stesso passo ma giriamo in senso opposto, l’avevo visto all’inizio e ora lo ritrovo al giro di boa.
Il ragazzo bellissimo ancora, ora pedala velocemente, ha agganciato il tipo sulla tipo, che lo sta seguendo con la voce di Anastacia lanciata dalle casse dell’autoradio. Mi passa accanto ma niente lingua, stavolta abbassa lo sguardo.