martedì 25 dicembre 2012

"Auguri!"

“Auguri!” ma non se lo fila nessuno, non perché siano maleducati, proprio perché non c’è nessuno: la strada è deserta. Lui è un giovane Babbo Natale con tanto di campanella e sacco pieno di doni, ed è piazzato davanti alla porta della profumeria. Ma siccome un po’ si stufa e un po’ si vergogna, e un po’ si rende conto dell’inutilità della mascherata, si mette seduto sul marciapiede e guarda il suo sacco sconsolato. Ogni tanto esce il proprietario della profumeria e lo redarguisce, discutono, lui sbuffa e gli fa un gesto che vuol dire “ma non c’è un’anima in giro” e l’altro sempre a gesti “e tu fallo lo stesso”.
Io li osservo per un altro istante e poi entro nel bar, è l’ora del caffè. La sala puzza di fumo, c’è la stanzetta del videopoker nella nebbia e un grande monitor sintonizzato su MTV, Irene Grandi. Il barista canticchia la canzone di Natale mentre mette su il mio caffè, corretto a 40, servito in vetro con scorzetta di limone. Un professionista della correzione, la scorzetta nel caffè corretto è una finezza che solo da queste parti conoscono, credo.
“E’ passato al commerciale pure lui” mi dice commentando il video di Jovanotti che scorre ora sul monitor, Tensione evolutiva. Io rido sempre quando sento la parola “tensione” pronunciata da Jovanotti, e condivido il giudizio dell’esercente, anche per il tono contenuto che non mi sarei aspettata, dato l’esercente e l’esercizio.
Un bar di periferia a Torre del Lago, la mattina della vigilia. Due signori al video poker, uno con lo spritz e il giornale, il barista, il babbo natale disulluso, io e la strada deserta.
Esco a fumare e sulla vetrina del bar due cartelli scritti a mano, con l’elenco dei vincitori del torneo di briscola e i premi del prossimo: bistecche, rosticciana, polli, faraona e vino.
Benvenuti nel terzo milennio.

sabato 22 dicembre 2012

Il mio regalo di Natale



Io il regalo di Natale me lo sono fatto oggi pomeriggio: mi sono fatta la tessera della biblioteca comunale di Viareggio.
In realtà non è una tessera, mi hanno solo schedato e questo un pochino mi ha deluso.
La ragazza ha preso i miei dati e bisbigliando mi ha detto "restituzione a trenta giorni" e io bisbigliando “ho due scatole di libri, li volete?” e lei bisbigliando “non lo so, sono una stagista”.
Una conversazione bisbigliata ha sempre il suo fascino, che sia una conversazione per non svegliare un bimbo che dorme, per non rompere un’intimità che si sta creando o per non disturbare un sogno che si sta vivendo. Era del tempo che non bisbigliavo.
Ho spento il cellulare e sono entrata in sala di consultazione. Nessuna madeleine di fronte agli scaffali, perché era la prima volta che li vedevo. Fossero stati gli scaffali della biblioteca centrale di Milano, la Sormani, allora sì che avrei rivissuto gli esami e la tesi e i pomeriggi passati a non studiare e a guardare quegli scaffali. Ma questi non li conosco, così il mio regalo di Natale mi ha dato altre sensazioni.
Per esempio non sapere quale libro scegliere, per esempio essere emozionata perché l’idea della tessera della biblioteca è semplice ma geniale, per esempio non avere molto tempo per scegliere perché è stato un regalo fatto d’istinto, senza pagare il parcheggio sulle strisce blu.
Quindi ho saltato la A, ho scorso velocemente la B, ho guardato la C e mi sono soffermata sulla D, su una mensola tutta dedicata a Delillo.
Ho guardato i risvolti di copertina e non mi ha paralizzato l’idea di non sapere a cosa andassi incontro. Non mi importa se il libro scelto non mi piacerà, non lo devo pagare. Lo posso prendere, leggere, restituire a trenta giorni bisbigliando “figata” oppure “insomma”, guardando la stagista sorridere e segnare sulla mia scheda che Running Dog è tornato a casa.
Lo so che è la scoperta dell’acqua calda, ma come si dice, i regali semplici sono spesso i più graditi.

martedì 18 dicembre 2012

Casa, dolce casa.



Non è tremendamente rassicurante?

Da quando l’hanno ristrutturata esercita su di me un fascino irresistibile. Ogni volta che lascio la macchina al parcheggio e prendo il carrello mi sento subito meglio.
Non devo neanche cercare la moneta perché mi hanno dato un gettone rosso, di un bel rosso fiammante come il sol dell’avvenir, quella mattina che hanno chiesto la mia opinione sulla nuova interfaccia delle bilance del reparto frutta e verdura. 
A me, un’opinione. Mi sono emozionata.

Comunque è rassicurante, entro e sono felice. I frigoriferi del reparto latticini e insaccati hanno gli sportelli ermetici, così non vai in ipotermia; la copertura è piena di lucernari, così sei allietata da una bella luce naturale. C’è il banco della verdura a 94 cent, tanto va bene anche un cavolfiore piccolo e sgarrupato, oltretutto lo mangio solo io il cavolfiore, fosse per le mie figlie sarebbe estinto.

Ci sono i prodotti a km zero, i prodotti fior fiore, i prodotti equi e solidali, i prodotti sottocosto, i prodotti primo prezzo, i prodotti ogm free, i prodotti ittici del Tirreno, i prodotti bovini della Maremma, i prodotti etici, i prodotti senza pvc, senza sbiancanti, senza ftalati, senza grassi idrogenati. Tutto quello che serve al consumatore consapevole per consumare consapevolmente.
Io mi sento tanto rassicurata.

Così quando entro mi ci perdo, osservo deliziata la grafica del marchio, l’ordine per regione delle bottiglie di vino, gli espositori di cartone strutturale riciclato, il distributore di detersivi al litro, le confezioni in mater-bi. Hanno persino ridimensionato il reparto “igiene e cura personale” che mi ha sempre un po’ angosciato per via dell’immensa varietà di prodotti che paralizza il mio libero arbitrio. Le mamme giocano con le figlie a pesare la verdura, gli anziani chiedono aiuto per leggere i cartellini del prezzo e le cassiere tranquillizzano le signore che tardano a riporre la spesa.

Qui nulla mi può succedere, mi sento a casa. Anzi, io vorrei che la Coop fosse la mia casa.

Solo un fottuto genio come Woody Allen poteva immaginare che un giorno avremmo considerato rassicurante un supermercato.

domenica 16 dicembre 2012

Il genovese

Lui, il genovese che incontro ogni tanto per qui, mi saluta con entusiasmo, davanti al banco delle verdure.
E' preoccupato il genovese, perchè nell'ufficio dove lavora, a Firenze, fino all'anno scorso erano 19 e ora sono 2, e in due si fa fatica a seguire le cose.
E lavora per la Sovrintendenza, a Firenze. Mica per boh l'azienda che piega le scatole di cartoncino per le confezioni del kinder brios. La Sovrintendenza di Firenze. Che un mese fa non riuscivano a farsi arrivare il gasolio per non so quale macchinario e che la fornitura del gasolio della sovrintendenza è tutta in mano ad una società di figli di e cognati di che fanno i prezzi che vogliono loro e soprattutto i tempi che vogliono loro.
Mi dice che ha un amico all'Ospedale del Lido, un pezzo grosso, e che la chiusura del presidio Versilia è prevista per il 2014. "Hanno già firmato" mi dice, e io non so bene cosa ci sia da firmare per chiudere un ospedale aperto nel 2002 e con non ho idea quanti posti letto, ma grande, usti se è grande.
"Resterà attivo solo il servizio privato" mi dice e da bravo genovese si preoccupa di chi potrà pagare le prestazioni private, che qui non lavora più nessuno, "per le prestazioni pubbliche bisognerà andare a Massa, che il primario è inquisito".
La gente attorno a noi temporeggia e si sofferma davanti alla bilancia delle verdure, e allunga le orecchie e ascolta quello che il genovese mi sta raccontando, mentre si tocca i capelli impomatati e si sistema la sciarpa leggera intorno al collo, e quel signore lì, con le bietoline sul piatto della bilancia, mi sembra addirittura preoccupato e ormai ha smesso di far finta di pesare le bietole e ascolta pure lui.
Mi dice il genovese che ogni tanto torna a Genova, che la città è morta, ogni giorno c'è una manifestazione, che i negozi sono chiusi e che le strade sono deserte, "sono andato dal medico" mi dice "e scusa il termine, ma c'erano solo anziani. i giovani non ci sono più".
Io il termine glielo scuso perchè sono una persona tollerante, e non ho capito bene la sua preoccupazione di trovare solo anziani dal medico, però il genovese è allarmato.
Gli dico "eh, anch'io ora son ferma e boh, non lo so mica" e lui "dai ora goditi il Natale e poi ci pensi, che l'importante è stare bene e le tue bimbe le vedo che stanno bene" e mi tocco i coglioni immaginari e lo saluto, con tanto entusiasmo anch'io, che il genovese è sempre sorridente, malgrado il tono della conversazione.
Io torno dalla coop con tutto questo carico di buone notizie e tra un "vendesi fondo commerciale" e un "liquida tutto per cessata attività" la preoccupazione mi viene pure a me, che sono una persona positiva e ottimista.
E non ho idea di come calcolare quello che mi ha raccontato il genovese, ma sono certa che quando girano questi stati d'animo non servono i calendari maya per capire che abbiamo un enorme raudo piantato nel di dietro, pronto ad esplodere.

lunedì 10 dicembre 2012

L'immaginazione al potere


Telefono al delegato Inarcassa dell’Ordine di Lucca. Devo sapere come comunicare la mia cancellazione dall’ordine e richiedere il saldo del dovuto.
La prima parte della telefonata è tecnica, cosa scrivere sulla raccomandata e quali documenti mandare, racconto la mia situazione in cerca di solidarietà, ormai parlo anche con i rospi in letargo ipogeo del giardino. Lui mi dà la sua solidarietà, che oggi la solidarietà non si nega a nessuno, mi dice di tener duro.
Io visualizzo Vauro, per il modo di parlare, la cadenza e l'acuta ironia velata di cinismo.
Scatta qualcosa nella coscienza del mio interlocutore, e il tono della telefonata vira a sinistra, ma la sinistra quella vera, rivoluzionaria, del parlar fuori dai denti, di quinto potere o del quarto stato riveduto e corretto.
Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più! è la summa della conversazione che segue.
“Per quello che mi riguarda sarebbe anche il momento di incazzarsi” mi dice e scioglie l’atteggiamento sobrio del ruolo istituzionale, lasciando uscire il malessere di chi ne riceve una ogni mezz’ora, di queste telefonate, manco fosse il centro ascolto architetti depressi.
“Siamo 160.000 architetti, quasi tutti in queste condizioni, sarebbero 160.000 cartelli e bastoni alzati e facce incazzate, 160.000 laureati, professionisti dequalificati, progettisti retrocessi a burocrati o disegnatori, 160.000 belle teste cresciute per creare cultura e ridotte a combattere per la sopravvivenza che urlano al vento la loro intenzione di lotta”.
Mi cita Chomsky e poi aggiunge “io con il mio bastone da passeggio sarei in prima fila”, regalandomi l’immagine di un Vauro architetto con il paletot e il passo risoluto che sfila davanti a Montecitorio, manifestando sobria incazzatura accompagnata da giovanile entusiasmo rivoluzionario.
L’immaginazione rimane un porto rassicurante dove attraccare una zattera.
Vado a scrivere la mia A/R e a immaginarmi un mondo migliore.

giovedì 6 dicembre 2012

La ragazza con i capelli rossi



Non so, non sono un ragazzo, ma penso che la rossa sia davvero bellissima.
Sono tutte belle le ragazze del tavolo accanto, parlano fitto a gruppi di tre come nel cenacolo; hanno capelli lucenti, sguardi ridenti, sorrisi smaglianti nei loro vent’anni.
Ma la rossa sta una spanna buona sopra le altre.
Ha dita affusolate che muove con grazia sfiorandosi il collo da cigno, la pelle chiara e tiene le spalle aperte e la schiena dritta. Niente smalto, né trucco, anelli o collane, né vestiti appariscenti. Sta seduta a quel tavolo fiera ma non altera. Sgrana gli occhi parlando con la sua vicina, le avvicina il viso come a dirle un segreto poi si sposta di nuovo indietro ridendo, e quando ride solleva il labbro superiore ma solo un pochino e arriccia il naso in una smorfia felina.
Tiene i suoi splendidi capelli color rame raccolti in una lunga coda di cavallo che le si riversa sulla spalla, coprendole un seno. La sua vicina parlando le accarezza la coda portandola sulla schiena e lei con un movimento delicato della testa la riporta dov’era prima, sulla spalla a coprirle il seno.
Non alza la voce, non ride sguaiata, non si atteggia, nessun suo gesto appare studiato. Muove le mani da pianista suonando l’aria davanti a sé e sembra quasi che parlino; osserva le sue amiche e alza lo sguardo sulla sala solo per pochi istanti, con occhi nocciola fermi e orgogliosi, poi torna a guardare le sue compagne, studia il menu, solleva il bicchiere di coca tenendo le dita ben allineate e beve, stirando il collo e deglutendo con un lieve sussulto della gola.
Pare la regina degli elfi o una divinità celtica o Nicole Kidman, anche se il paragone con un personaggio reale smaterializza il quadro etereo che ho davanti.
Rimango ad osservarla chiedendomi quanto sia pesante portarsi addosso una bellezza di tale proporzioni, ma la rossa è talmente leggera che potrebbe volare via, in questo stesso istante.