Prendo in mano il pieghevole e ho un momento di commozione. Non esiste
solo l’opera lirica a Torre del Lago e non esiste solo l’estate; questo
pieghevole mi racconta che esistono altre stagioni e spettacoli per
non-melomani che si svolgono nel grande, contestato, monumentale Teatro Puccini. Bevo il mio caffè e leggo.
“L’amore è un cane blu”, Paolo
Rossi. Venerdì scorso, e io non lo sapevo.
“Urge”, Alessandro Bergonzoni. Venerdì
prossimo, sono ancora in tempo.
Nei giorni seguenti cerco conferme dell’evento senza trovarne, ma io
ho il pieghevole nella borsa, dunque è vero, esiste, ci sarà.
L’emozione di entrare nel foyer è tale che non fumo neanche la
sigaretta prima, entro diretta e vado a sedermi al mio posto. Centrale, prima
fila, praticamente perfetto; uno sguardo alla sala, semivuota.
Si spengono le luci. Entra.
Alessandro Bergonzoni è incandescente, emette luce propria. I primi
minuti sono recitati tutti a occhi chiusi. Lui brilla ma si contiene, racconta
il suo sogno con forza evocativa rara; poi si alza in piedi, comincia l’analisi
del sogno e tutto il percorso del testo.
Ora, parlare di uno spettacolo di Alessandro Bergonzoni è una bella sfida,
quando si esce di lì non si hanno parole perché le ha usate tutte lui, giocando
con significato, punteggiatura e con gli a
capo. Quindi mi astengo.
Posso dire che ho fatto un bel viaggio di senso e che ho riso tanto,
tantissimo. Ho riso durante la
battuta, ho riso prima, quelle tre
volte che sono riuscita ad intuirla, e ho riso dopo, ché è maestro nella risata a scoppio ritardato e ne gode, a
ragione. Quando alla fine ha chiuso le battute lasciate aperte all’inizio del
viaggio ho pensato che non sarei uscita viva da lì.
Pochi ma buoni, noi dall’altra parte del palco, e soprattutto tanto
contenti. Applaudendo a scroscio ci meritiamo un bis e una seconda fulminante
uscita. “Grazie, Torre del Lago”; ma figurati, grazie a te, Alessandro.
Io vado a salutarlo, mi
dico, tanto la sala è
piccina, i camerini li troverò.
Mi sorride, è gentile, ci presentiamo e mi chiede cosa faccio nella vita.
Sono in leggero imbarazzo per i molti posti vuoti e per il silenzio locale sul
programma della stagione, ma il paese è piccolo, che ci possiamo fare. Cammino
al suo fianco lungo il corridoio verso l’uscita, si ferma a salutare gli ultimi
spettatori rimasti, apre la porta e se ne va. Lo osservo passare in macchina e
mi accendo finalmente la sigaretta.
Rimango a godermi l’inedita sensazione di avere partecipato ad un
evento di nicchia, di quelli che fanno sentire un sacco fighi. Ah! Io, stavolta, c'ero.