sabato 24 dicembre 2011

Sexy

Ho alzato lo sguardo e l'ho visto lì, affacciato alla finestrella del bagno, che mi guardava. aveva gli occhi a mandorla e i capelli scuri, quasi da orientale, e il viso seminascosto tra gli attrezzi da giardino.
Allora mi sono alzata dalla tazza, mi sono tirata su le mutande e sono tornata a giocare.
A questo non avevo più ripensato finchè gli stessi occhi, con parecchi anni intorno, non si sono posati sul corpicino nudo di mia figlia che si svegliava dal pisolino e mi veniva a cercare.
"Lei dorme così, eh? tutta sexy"
Non ho obiettato che con 40 gradi all'ombra è normale dormire nudi, e che a tre anni non esiste ancora il senso del pudore. sono stata zitta e ho attribuito il commento a una scarsa dimestichezza con l'italiano, data dall'abitudine al vernacolo.
Da allora ho fatto in modo che le bambine non restassero sole con lui. mi dava inquietudine quell'ometto sorridente che veniva tagliare il prato e fare piccoli lavoretti dai miei. mi dava i brividi.
Lo stesso brivido l'ho sentito l'altra sera, mentre si parlava dei costumi per il saggio di ginnastica.
"Avranno le culottes bianche, scaldamuscoli marroni e un top allacciato dietro con le spalle scoperte. loro saranno le gazzelle" ci spiegava l'istruttrice, mimando l'allacciatura del top.
"Saranno sexy" ha esclamato contenta una delle mamme.
Ma come si fa a definire una bambina "sexy"?

giovedì 15 dicembre 2011

Gruppo di autoaiuto

Oggi era giorno di controllo.
arrivo in anticipo, contrariamente alle mie buone abitudini, e ho tutto il tempo di prendere il mio numero al cup perchè questa volta non mi fregano: PRIMA pago il ticket, POI vado alla visita.
l'atrio è strapieno, ma io ho il numerino e nessuno mi passerà avanti. attendo il mio turno in compagnia del giornale e quando tocca a me, con la cartelletta della mia storia clinica in ordine contrariamente alle mie buone abitudini, mi accosto sorridente allo sportello che mi è toccato.
ho scoperto che se sorrido in una situazione potenzialmente da stress mi stresso di meno.
un omino dall'accento quercetino guarda il mio numerino, le mie impegnative, il mio foglio di convocazione, il suo terminale, smanetta sulla tastiera e pìrula sulla mia tessera sanitaria e poi gentilmente mi spiega che PRIMA devo fare la visita e POI devo tornare a pagare il ticket. ohibò!
salgo le scale, arrivo all'ambulatorio. sono in anticipo e quindi attendo, ma solo un po'.
all'infermiera consegno le mie impegnative, la mia cartelletta in ordine, l'autocertificazione che contrariamente alle mie buone abitudini avevo già compilato e lei mi spiega sorridendo che PRIMA deve fare un copia di tutto e POI posso fare la visita. Copia e ricopia, aggiunge e corregge perchè sono fuori asl e tutto è più complicato.
il dottore ci dice sorridendo che visto che abbiamo un certo anticipo possiamo anche mantenerlo e mi invita a prepararmi.
in breve ottengo un "dalla colposcopia tutto bene" e un "il referto del pap test le arriverà per posta".
l'infermiera mi restituisce sorridendo una copia di tutto e mi raccomanda "il codice a barre per i 15 euro e "altra prestazione" per i 12, glielo dica al cup e non il contrario"
attendo poi l'omino quercetino del cup prende la sua copia del tutto, smanetta e pìrula e mi fa il codice a barre per i 12 euro e l'altra prestazione per i 15.
"ma guardi mi avevano detto esattamente l'opposto" dico sorridendo
"ma tanto è uguale" mi dice sorridendo
visto che è uguale vado alla macchinetta e una gentile signora sorridente incaricata all'assistenza molto coscienziosamente ma con gran calma mi assiste e serenamente pago.
torno all'ambulatorio, attendo poi busso e consegno le ricevute già compilate contrariamente alle mie buone abitudini.
eh, però ha fatto il codice a barre per i 12 euro. e non va bene perdinci. ma possibile che dobbiamo sempre perdere tutto questo tempo. scommetto che è stato l'omino. è stato l'omino vero? oggi l'omino lo meno. pronto mi passa Mariani? Mariani ci risiamo hanno di nuovo sbagliato a far pagare il ticket. eppure era stato esplicitamente chiesto al cup di fare il codice a barre per i 15 euro. ora la signora è costretta a tornare giù. signora le dispiace tornare giù a parlare con mariani, così vediamo di risolvere.
sorridendo vado a parlare con mariani nell'ufficio accanto al cup.
mariani non c'è quindi sorridendo attendo.
mariani prende le mie ricevute: ma no, va bene così. tanto è uguale.
torno su. ah, è uguale? l'ha detto mariani? se l'ha detto mariani... e poi ora che guardo lei era un CIN3. la prossima volta dica al suo medico che ha diritto all'esenzione dal ticket: codice 48.

totale:
costo della prestazione: 27 euro
permanenza  nella struttura: 2 ore
di cui: 138 secondi per la visita

mettiamola così, se il responso non fosse stato buono, se il dottore non avesse avuto la mimica facciale di greg house, se non avessi word come analista e fb come gruppo di autoaiuto a vostra insaputa probabilmente non sarei uscita sorridendo dall'ospedale.

venerdì 25 novembre 2011

Amianto

Sono un tecnico, uno di quelli che lavora dietro e sotto il palco. Monto le luci o porto i pannelli di compensato per le scenografie. Ho mani grosse e forti, e riesco a risolvere qualsiasi problema con queste mie mani e il mio ingegno.

Sono una sarta, rincorro cantanti e figuranti con gli spilli in bocca per aggiustar loro i vestiti durante le prove. Riesco a cucire qualunque stoffa e adattare anche il più visionario dei sogni di uno stilista a qualsiasi fisico di attore.

Sono un pischello, ho fatto la coda tutta la notte fuori e da domani per un mese sarò un soldato di Aida o un passante stregato da Carmen. La lirica non mi piaceva, ma a furia di comparsate per arrotondare lo stipendio, ora mi piace e ci sto dentro.

Sono una maestra e ogni anno organizzo, riempio moduli, chiedo permessi e autorizzazioni per portare i bambini a vedere questo splendido teatro e i misteri celati dietro al sipario.

Sono una bimba e ho un sogno. Qualcuno potrà dire che è il sogno di tutte le bambine, ma io sono speciale e l'ho realizzato: volevo fare la ballerina e ora sono entrata nella migliore scuola di danza d'Italia.

Sono una musicista, un cantante, un direttore d'orchestra, un regista, un tecnico luci suono un operatore di ripresa uno specializzato una maschera un uomo delle pulizie un melomane una cassiera una guardarobiera un coreografo una ballerina di fila.

ora, la fortuna è cieca, la vita ingiusta e il destino crudele. ma non è che bisogna sempre e per forza metterci sopra il carico

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/24/alla-scala-va-in-scena-lamianto/172711/

giovedì 6 ottobre 2011

Contrasti

A volte sei sulla terraferma, eppure ti sembra di navigare.
A volte basta una passeggiata, basta arrivare in fondo al pontile e non guardarti indietro.
Arrivi in cima, e il mare ti circonda. In giornate come questa, la brezza ormai fredda del tramonto disegna sulla superficie piccole ondine inoffensive, increspature che corrono veloci fino a riva.
Se ti fermi e aspetti, il vento ti fa colare il naso e il sole socchiudere gli occhi. Tra la luce accecante e la brezza ghiaccia l’unica cosa reale che c’è intorno a te è il movimento rapido della corrente.
E’ quasi una vertigine che ti può cogliere in questi momenti, uno strano contrasto tra i tuoi piedi fermi e tutto quel movimento piccolo e rapido intorno.
Guardi all’orizzonte cercando un punto fermo e l’unico punto che vedi è una sagoma che si avvicina e avvicinandosi si delinea, mostrando i suoi alberi e le sue vele ammainate.
Sollevi lo sguardo e anche il cielo non sta fermo perché i gabbiani ti girano intorno.
Sorseggi e aspetti che la vertigine passi.
E invece della vertigine, davanti a te passano signore anzianissime su ruote, incartate in multistrati di lana, spinte dai nipoti o dalle nuore, bambini al guinzaglio di mamme pettinatissime, tronisti a petto nudo che joggano supermonitorati.
Poi, uno skater ti sorpassa e cancella con la sua onda a rotelle il viaggio costacrociere mentale che per un attimo ti aveva quasi addolorata.

lunedì 26 settembre 2011

Cuore di mamma

Accese il fuoco, si guardò intorno, sistemò il plaid accanto a sé, infine si distese. Guardò la ciotola piena di un fluido denso e trasparente. Un tonfo improvviso la fece sobbalzare, drizzò le antenne ma non si sentì più nulla, così prese la stoffa soffice e si coprì le estremità. Fuori  l’inverno cominciava a farsi serio, il prato era coperto di un manto nevoso soffice e spesso.
Chiuse gli occhi. Tra poco avrebbe dovuto scendere a controllare come stavano le piccole. Finchè non le sento agitarsi vuol dire che dormono. Le pareti scure intorno a lei si fecero sempre più sfuocate, e alla fine si addormentò.
La svegliò la furia del vento, poi un rumore ritmico, il ripetuto bussare alla porta. Si alzò per nulla incuriosita. Eccoci. Borbottando aprì la porta. Il vento gelido le si insinuò in profondità mentre immobile fissava l’ombra scura di fronte a lei: tremava come una foglia e aveva uno sguardo supplice. Le ricopriva le spalle un delicato velo, irrigidito dal gelo.
Le prese il polso e la fece entrare. Senza parlare sorrise soddisfatta e la portò vicino al fuoco. L’ospite si rianimò un pochino e distese gli arti intirizziti verso il calore del focolare. “Ora stai qui buona, scaldati. Mi spiegherai tutto più tardi” la sua voce pacata era una carezza lieve, inaspettata. Le consegnò la ciotola; l’ospite affamata ci si avventò, sorpresa e riconoscente.
Si udì un tramestio veloce provenire dal piano inferiore. La padrona di casa si diresse verso il lungo corridoio buio in fondo alla stanza. “Torno subito” la rassicurò e scomparve. Un leggero frusciare, una nenia monotona, poi di nuovo i suoi piccoli passi rapidi.
“L’inverno è arrivato così improvviso quest’anno” sussurrò l’ospite distesa ormai immobile a terra. Aveva una voce roca, l’ombra della potenza dimostrata nelle stagioni passate.
“E’ quello che dite tutte” ribattè acida la formica, avvicinandosi. La sollevò con le mascelle poderose e la fece scivolare nella voragine apertasi accanto alla coperta. Un tonfo sordo, un veloce fruscìo, il suono secco delle zampette che venivano strappate.
Ecco, ora le piccole staranno buone ancora per un po’-sogghignò fredda, soddisfatta- L’inverno sarà lungo ma verranno altre cicale imploranti a elemosinare pietà a questa porta.

 

 






questo raccontino è stato pubblicato in "365 storie cattive", AA.VV., 2/2011
trovate maggiori informazioni qui: http://blog.aisea.org/articolo.asp?articolo=46

sabato 17 settembre 2011

Bellissima

Giro in bicicletta in pineta e gelato alla rotonda. Al primo sole è praticamente un obbligo, sono quei rituali che è bello reiterare.
Di fronte alla gelateria c’è l’Hotel Turandot, tre stelle, l’unico hotel sulla Marina di Torre del Lago.
Di fronte all’hotel c’è la scalinata, e sulla scalinata un grumo di pizzi e guêpière, penne di struzzo, trampoli e french nails disordinatamente in coda. E’ tutto un chiacchiericcio, un osservar l’altrui, e un certo fremere contenuto.
In cima alla scala, a lato della porta a vetri, una ragazza in tuta grigia, walkie talkie e cartelletta, smista la varia umanità assiepata. Fa un cenno al tipo alto e calvo con l’auricolare che le sta di fronte e il tipo ne fa entrare due, una dark lady e una supertrans. La variazione di densità sulla scala provoca qualche riposizionamento con conseguente malcontento. Ma il tipo alto e calvo ripristina la condizione di ordine.
Altro cenno, altra coppia.
"Chi sono mamma?"
"Si direbbe un casting"
"Sì, per una scena di un film che devono girare al Frau", ci informa l’omino della gelateria.
Ci mettiamo sedute al tavolo fuori, il Pericolo Biondo si cosparge di cioccolata la maglietta, Acqua Cheta ed io osserviamo l’evolversi della situazione.
Un casting. Qui, ora. Questo è un segno del destino. Ora finiamo il gelato e le porto là, saliamo i gradini facendoci strada tra la folla e guadagniamo la pole position, la ragazza con il walkie talkie vede le mie bambine e rimane folgorata. "Presto entrate" ci fa "stiamo proprio cercando due bambine per un film che andrà in produzione quest’estate". Figata, così non devono neanche saltare la scuola. Allora entriamo e il responsabile del casting le vede e dice "perfette". Un futuro nel cinema, per le mie belle perle. Sì, è proprio un segno del destino.
Intanto la ragazza ha chiuso il casting e i rimasugli se ne vanno strascinando per strada la propria delusione.
Poco male, vorrà dire che avranno più attenzione per le mie perle, ora. Certo la maglietta al cioccolato non è il massimo, ma rende tutto spontaneo, imprevisto.
"Andiamo a vedere mamma?"
"Va bene cara, finite il gelato"
Come una Nannarella contemporanea, le prendo per mano e attraverso la strada. Mi ci vedo nella parte, con le borse sotto gli occhi, i capelli spettinati e le creature al mio fianco. Cammino, con la schiena dritta e il passo deciso. Raggiungo la scala, saliamo.
"Le bambine erano curiose di vedere dentro che c’è".
"Come vi chiamate? Che bei nomi! Allora, vi spiego: qui stiamo cercando delle comparse per un nuovo film italiano che uscirà a settembre e dobbiamo girare una scena a Torre del Lago, nella discoteca Frau. Ah, ma và? E quella accanto al bagno dove andate con i nonni? No signora, è alla sua prima regia, non credo che lo conosca. Gipi, un autore di comix".
Le mie bertuccine sono annichilite: dentro, davanti alle petineuses, tra nuvole di lacca e brillantini, stanno finendo l’acconciatura a una stangona sui trampoli, infilando la guêpière nera alla supertrans e spandendo il rossetto nero sulle labbra di Morticia Addams.
Le comparse sono pronte, la supertrans mi passa vaporosa accanto con i suoi due metri buoni tacco incluso e sul viso di Acqua Cheta si dipinge un’espressione di sgomento.
Sono sicura che Nannarella non si è mai trovata a dover dare delle spiegazioni così impegnative.

venerdì 16 settembre 2011

Sinonimi

E’ cominciata la scuola, con conseguenti 13+13 km di trasferimento casa scuola ritorno incluso.
(si va vivere fuori dalla città un po’ per questo, per potersi spostare in macchina il doppio)
Essendo madre talebana per natura e squattrinata per sorte, non ho mai dotato il mezzo di trasporto dell’autoradio. All’acquisto ostava una remora latente: il pensiero di essere costretta, per quieto vivere itinerante, al repeat incondizionato de “il coccodrillo come fa”, si scontrava con la mia idea di educazione.
In macchina, per 20 min a viaggio con prole in età scolare, si possono fare altre cose: si ripassano le tabelline, si canta, si litiga, si guarda il paesaggio, si gode del silenzio. Molto si parla.
Argomenti ce ne sono tanti, ma in questo periodo va per la maggiore e di pari passo con il programma ministeriale, il tema de “i sinonimi”.
-Ogni parola ha il suo significato, a volte preciso, altre volte sfumato. Ma sinonimi in senso stretto non esistono. Ci possono essere parole che, per affinità di senso, possono essere usate per sostituire delle parole simili, per rendere un racconto più elegante o più accattivante o fluido. Ma le usi solo dopo aver definito un oggetto o una azione nei suoi veri termini. Per esempio “casa” e “abitazione” definiscono lo stesso oggetto, ma “casa” ne sottolinea la “materia”, “abitazione” invece pone l’accento sul suo “uso”. Oppure tutti gli alberi sono piante, ma non tutte le piante sono alberi, ci sono i cespugli, le piante erbacee…”

-Ma, hai presente “soffice” e “morbido”? non ti danno l’idea di una cosa che quando la tocchi è bella, morbida, soffice? Ecco, la maestra ha detto che questi sono sinonimi
-Sì, la maestra dal suo punto di vista ha ragione, però “soffice” lo dici della neve, mentre “morbido” lo dici di un cuscino.

In effetti il termine “pedante”, nella sua accezione di aggettivo sostantivato, può diventare sinonimo di “madre”.

lunedì 12 settembre 2011

Ecco, finita.


Non ricordo un ultimo giorno di vacanza con il brutto tempo.
Magari aveva piovuto per tutta l’ultima settimana, e la temperatura si era abbassata e bisognava cominciare a coprirsi un po’. Si aspettava che smettesse il temporale per poter andare in bicicletta nelle pozzanghere, o per andare a vedere il mare mosso e a sentire il libeccio sul viso. O si andava Viareggio in motorino, da Blue Point a comprare le cavigliere che presto non avremmo più potuto portare perché davano fastidio con le calze, o si andava al mercato a cercare i pantaloni di velluto, che in quella bancarella dove si serviva nostra madre i prezzi erano ottimi e ci vestiva tutte e quattro con poco. Si cominciavano a smontare il tavolo del giardino e a riporre le sedie e si svuotava la cabina. Le pulizie, le valigie, il gatto,  i vocabolari di latino e greco e le versioni rimaste da fare per gli esami di riparazione.
Ma l’ultimo giorno, quello prima della partenza, è sempre stato bel tempo.
L’ultimo bagno, l’ultimo gelato, l’ultimo gioco o l’ultimo bacio, le ultime conchiglie, l’ultimo aperitivo, l’ultimo tramonto, l’ultimo sguardo al mare.
Poi, il giorno dopo, l’autostrada.

Ecco, oggi è l’ultimo giorno di vacanza, ma non sarò io a partire. Partiranno gli altri.
Se vivi in un posto come questo, vicino al mare, la partenza degli altri la aspetti per tutta l’estate. Torni ad essere padrone delle strade, dei bar, del mercato, del molo e del lungomare. Sai che l’inverno che arriverà non sarà rigido, e la possibilità di andare sulla sabbia a passeggiare ti fa sentire speciale.
Certo, magari non lo fai perché la vita è la stessa per tutti, dura. Però potresti.

Eppure non vedi l’ora che gli altri tornino, così, per sentirti un po’ al mare anche tu.

sabato 27 agosto 2011

Accumulatore differenziato

- Ora mettilo qui.
- No
- Avanti, senza storie.
- Non posso, è interessante
- Figuriamoci. Mettilo nel cestino.
- Ma potrebbe servire
- E cosa te ne faresti?
- Ci metto in filo argentato e diventa un pallina per l’albero di Natale
- Siamo ad aprile, sembra prematuro pensare al Natale.
- Posso fare un alberello di carta, e poi decorarlo con le palline colorate
- E’ una stagnola dei cioccolatini, ne troverai a migliaia da qui a dicembre. Progressi?
- Ieri sono andata in discarica.
- Deo gratia. E cosa hai portato?
- 38 chili di carta. Me la scalano dalla  tassa dei rifiuti.
- Bene, e poi?
- 5 chili di olio vegetale. Lo sa che è reciclabile al 98%? Ci fanno il biocarburante, l’ha detto Jacona
- Lo so. E poi?
- 2 chili e mezzo di metallo, comprese le retine del prosecco.
- E le corone? E i tappi di sughero?
- Le corone le ho tenute: tintinnano. E con i tappi magari ci avvio il fuoco quest’inverno, oppure ci faccio i tetti per le casette del presepio.
- Siamo sempre ad aprile. E poi?
- Poi il vetro, e anche la scatola dei piatti rotti. Tanto quando farò i mosaici alle pareti posso attingere dal giacimento di piastrelle rotte sul sentiero sotto casa.
- E le bottiglie?
- La batteria del portatile e la scheda della caldaia bruciata che andrebbero nell’elettrico ma la tipa della discarica non le ha pesate e le ha buttate nel nero. Però non si fa, così ero capace anch’io... Poi un sacco di plastica: le buste del cibo per i gatti, due sedie da giardino rotte, e le seggioline delle bimbe che ormai non le usano più. E una paletta per i rifiuti disintegrata.
- E le bottiglie?
- Di quelle ne ho poche, uso l’acqua del rubinetto.
- Non fare la finta tonta, i flaconi dei detersivi? E i tappi?
- Li ho tenuti, non posso buttarli: sono talmente belli. Quei colori brillanti e quelle forme così diverse. Il tappo della panna montata da spruzzare per esempio, è sferico! Lo posso usare come pallina per il detersivo. Ho letto su Altroconsumo che la pallina con il detersivo direttamente nel cestello aiuta a lavare meglio i panni a bassa temperatura. E’ per via dell’azione meccanica di sfregamento. Un po’ come lavarli a mano.
- D’accordo, ma di tappo a pallina ne basta uno per il bucato. E gli altri?
- Possono servire a un sacco di cose. Lo sa che alcuni si incastrano tra di loro meglio del lego? I tappi del detersivo con quelli dell’ammorbidente, per esempio. Sono anche in nuance di colore, verde chiaro e verde scuro.
- E cosa te ne fai?
- Quando ne avrò a sufficienza posso regalarli alla scuola materna, come costruzioni, per far giocare i bambini. Oppure ci faccio un Othello reciclato. Con quelli della Schweppes da litro e del latte nel tetrapak. Ne servono solo 64 per tipo, li incastro l’uno dentro l’altro e ci vengono fuori le pedine. Certo, quelle vere sono bianche e nere ma anche gialle e bianche va bene uguale, no? Al limite la scacchiera la faccio in tinta…
- Ma: e tutti gli altri tappi? Ne hai buste piene.
- Li tengo da parte perché ci si fanno le sedie per i disabili!
- Allora dalli ai Cattodem o agli Equosolidali.  Devi buttare, non puoi accumulare continuamente.
- Non posso pensare che tutti quei meravigliosi oggetti, con le loro forme e colori e materiali vadano perduti. Non è possibile che servono solo a “contenere” e che una volta vuoti non servano più. L’uomo non può aver usato il suo ingegno per realizzare cose che servono solo a “contenere”. Devono aver un altro scopo, un'altra funzione.
- Ce l’hanno, li metti nell’apposito cassonetto e vengono riutilizzati.  Cambiano forma ma la sostanza rimane.
- Non è la stessa cosa, quegli oggetti sono belli in sé. Sono perfetti nella loro forma. Si tratta solo di scoprire per loro una nuova funzione.
- Gli oggetti che accumuli sono progettati con uno scopo. La loro bellezza non è oggettiva, ma intrinseca nella loro funzione.
- Sa, ho costruito uno scatolofono una volta, con un contenitore del pesce in polistirolo e qualche elastico, come hanno fatto alla Gaia Scienza.
- Signoriddio, e cosa ne hai fatto?
- L’ho fatto vedere alle bimbe; l’hanno suonato e si sono divertite.
- Per quanto tempo?
- 48 secondi.
- Poi cosa ne hanno fatto?
- Lo hanno messo in camera a prender polvere.
- Appunto. Vediamo cosa tieni nella tua borsa. Queste?
- Nocciole. Le ha raccolte il pericolo biondo e mi ha chiesto di custodirle.
- Quando?
- 15 giorni fa.
- Te le ha più chieste?
- No
- Allora puoi buttarle. Se un bambino ti fa custodire una cosa e non te la richiede nel giro di mezza giornata, ha perso interesse e la puoi tirar via. Sentimi bene: la tua famiglia ha diritto di vivere in un luogo sano e ordinato. Non puoi accumulare qualunque cosa ti sembri degno.
- Ma mi saranno utili, posso…
- Lo so, le so tutte. Coi cd puoi farci il caleidoscopio o i portafotografie, le cartucce della stampante le puoi far rigenerare, con le buste termiche del supermercato puoi rivestirci le bottiglie o farci le pochette per le merende delle tue figlie, nelle latte dei pelati puoi metterci a dimora le piantine e con i biglietti del treno ti ci potrai fare i filtri.
Non funziona così, devi liberarti di quanto hai messo da parte fino ad ora. Nella prossima seduta voglio vedere le ricevute della discarica.
- Dottore, non credo di farcela.
- Puoi e devi. C’è un provvedimento della Polizia Sanitaria. Tu sei qui per farti curare, ricorda che io sono la tua ultima possibilità, dopo di me c’è il ricovero coatto. La seduta è terminata, puoi passare alla cassa.
- Cassa? Ma le sedute fanno parte del Trattamento di Assistenza e Supporto Psicologico per gli Accumulatori Compulsivi inserito nel Programma di Ordine e Salute Mentale Nazionale. La prestazione è gratuita per quelli con patologia certificata.
- Spese di segreteria. Sono 130 troni.
- Alla faccia. Posso pagare con le monete da 5 cent?

lunedì 22 agosto 2011

Donna Olivia

Quando ho sentito suonare il campanello mi sono affacciata, sicura che non fosse il mio. Mi sono affacciata e l’ho visto in strada; aveva i capelli raccolti in una coda bassa e lo sguardo rivolto a valle, verso la città. Le ginocchia piegate appoggiate al muretto, il mento lievemente alzato, annusando l’aria come se profumasse. Subito dopo di me si è affacciata la padrona di casa, al piano di sotto.
“Non ci posso credere” ha esclamato, ha richiuso la finestra ed è scesa in strada.
Le loro voci entravano in casa dalle finestre lasciate aperte alla ricerca di aria fresca, così non ero affatto sorpresa quando è stato il turno del mio campanello.
“ No che non mi dispiace, certo che può venire a vedere. Se non ti disturba il disordine”.
“Ma figurati, non hai idea di come mia madre tenesse la casa”
L’avevo già visto tantissime volte in paese, e poi era sparito. Solo ora scoprivo chi fosse: il ragazzo che abitava nella casa in cui ora vivo io.
“Avete spostato il tavolo qui. In effetti, almeno vi godete il caminetto quando mangiate”
Poi si è diretto rapido in corridoio, e girandosi verso di me “Dai, avete messo il cronotermostato. Avete fatto bene, non hai idea del freddo che abbiamo patito”. Ha osservato il termostato estasiato, poi è entrato in cucina, e ha posato le dita sulla caldaia, accarezzandola con i polpastrelli. “Quella non l’abbiamo cambiata”, gli ho detto io e lui “Lo vedo, è sempre lei. Salta ancora la scheda con i fulmini? Ne abbiamo cambiate a decine. Ora posso andare in camera mia?”
Non pensavo e invece la sua camera è quella in fondo al corridoio. Quando siamo entrati in casa vedendo che avevano messo la lavatrice proprio lì, l’abbiamo destinata agli ospiti, sapendo che sarebbe stata in realtà la lavanderia. Montagne di panni lavati e da lavare che si rincorrono tra cesti, pavimento e letto.
“Sicuro, ma dammi un minuto, gli do’ una parvenza d’ordine”. Raccatto dove posso e come posso e lo faccio entrare. Poi lo lascio solo, quasi vergognandomi di essere entrata in camera sua.
“Si sono trasferiti in Canada –mi spiega la padrona di casa- la mamma ha trovato lavoro là, ma a lui Piazzano è rimasto nel cuore. Prima gli ho offerto un biscotto del Bandoni, e lui si è commosso, mentre mi raccontava le attese in strada del furgone del panaio e le colazioni con quei biscotti. Mi ha fatto una tenerezza”.  Ma l’ultima frase l’ha detta abbassando il tono, vedendo che il ragazzo era uscito dalla camera.
“Vieni a vedere le altre stanze”. Gli faccio strada: “Questa è la nostra camera, e questa è la camera delle bambine. Abbiamo cambiato un po’ di cose, portato qualche mobile”, ma mentre parlo mi rendo conto che non ho più la sua attenzione, ormai catturata dalla finestra del soggiorno.
“Che bella vista che c’è da qui. Peccato che quella è solo Sant’Anna. Se si potessero vedere le mura sarebbe meraviglioso, ma anche così è proprio bella”
Ma pensa, è Sant’Anna. E io che l’ho sempre spacciata per Lucca. Però sì, è davvero una bella vista.

Anch’io ero tornata, una volta. Avevo vissuto dieci mesi a Oporto e l’anno successivo ero tornata. Avevo abitato nella Rua Cima do Muro, accanto alla piazza della Ribeira, una casa bellissima con una vista mozzafiato sulle cantine del Porto e sul fiume. Durante quell’anno avevo frequentato l’università, ero uscita la sera e camminato per i quartieri, ma i momenti che mi sono rimasti dentro sono quelli passati alla finestra. Il cielo sempre in movimento, il fiume così imponente, il ponte Don Luiz, la piazza della Ribeira che si riempiva e si svuotava, come in Koyaanisqatzi.
Guardavo giù per vedere chi avesse suonato al campanello, per poi scendere ad aprire, guardavo quando l’autobus percorreva il ponte, perché facevo in tempo a scendere e arrivare alla fermata, aspettavo che il sole tramontasse e la piazza si riempisse, così potevo unirmi alla vita notturna.
Se dimenticavo la chiave del portone, c’era Donna Olivia, al primo piano. Era sempre affacciata, e quando vedeva la menina italiana aspettare seduta sul muro, mi chiamava e mi lanciava la chiave legata ad uno spago. Io aprivo e lei ritirava su la chiave.
Quando sono tornata, sono passata sotto alla casa di rua Cima do Muro e mi sono seduta, aspettando di sentire Donna Olivia chiamarmi. Mi avrebbe tirato la chiave e sarei salita, stando attenda a percorrere le scale di legno sul lato della parete, perché erano vecchie e pericolanti. Sarei arrivata con il fiatone al terzo piano e sarei entrata nel grande salone centrale. Avrei sentito sotto i miei passi lo scricchiolio del legno e avrei scostato la tenda che nascondeva l’alcova che mi avevo protetto tante notti.
E poi, mi sarei affacciata alla finestra. Anzi, le avrei girate tutte e cinque. Avrei guardato il fiume, il cielo, la piazza. Avrei seguito il movimento delle persone nella piazza, e le barche attraccare al molo, e aspettato di vedere il treno passare sul ponte Eiffel. Avrei annusato l’aria e cercato le differenze sperando di non trovarne. E poi sarei uscita, perché il viaggio nei ricordi è come un sogno e non può durare troppo a lungo.
In quel pomeriggio sono stata la Donna Olivia che non avevo trovato a Oporto e mi ha fatto piacere. Non si entra facilmente nei sogni degli altri.

mercoledì 3 agosto 2011

Luce semaforica rossa

Il semaforo è rosso, ma non c’è nessuno. Guardo a destra. La strada è deserta. Il semaforo è sempre rosso. Schiaccio il bottone. Aspetto. Ma ‘sto verde quando arriva? Vabbè io passo, tanto non viene nessuno.
-Favorisca i documenti.
-Prego?
-Favorisca i documenti.
-Mi scusi, ma favorisca i suoi.
-Io non devo favorire niente a nessuno. Non vede il distintivo? Io sono un Ausiliario della Disciplina.
-La carta di identità va bene?
-Lei  mi favorisca il documento, se va bene glielo dico io. Questo documento di identità è scaduto da due mesi. Mi favorisca un documento valido.
-Non me n’ero accorta. Allora la patente.
-Signora, mi sta prendendo in giro? Questa patente è un duplicato.
-Sì, ma l’ho fatto alla Motorizzazione.
-Cosa vuol dire? Dal controllo istantaneo risulta che questo è un duplicato emesso in seguito allo smarrimento dell’originale.
-Infatti, ho perso la patente e l’ho rifatta.
-Dal controllo istantaneo risulta che il documento originario emesso nel 1986 non è mai stato rinnovato.
-Alla motorizzazione mi hanno detto…
-Lei ora non è alla motorizzazione. Lei ha attraversato la strada con il rosso. E non ha un documento valido. Dal controllo istantaneo risulta che la sua autovettura non ha ancora fatto la revisione.
-Ma cosa c’entra, mi scusi, io sono a piedi.
-In ogni caso la sua autovettura non ha la revisione. O no? Inoltre risulta che lei è in arretrato con il bollo. Almeno dal 2002.
-Sì, in effetti. Sa com’è, un po’ la mancanza di soldi, un po’ la mancanza di tempo, gli impegni familiari… certe scadenze passano nel dimenticatoio.
-Non mi interessano le sue motivazioni personali. Lei ha attraversato la strada con il rosso, non ha un documento valido, la sua autovettura è senza revisione ed evade il bollo da quasi dieci anni.
-Non vedo la relazione. Attraverso una strada deserta con il rosso. Ho schiacciato il bottone per il verde, ma non funziona. Mica posso aspettare in eterno, devo andare in posta a pagare le bollette altrimenti mi tagliano la luce.
-Perfetto, quindi lei è anche morosa.
-Non sarei morosa se lei mi permettesse di andare a pagare.
-Se lei avesse atteso il verde per attraversare non saremmo qui, ora. Lei è una indisciplinata totale. Dal controllo istantaneo risulta anche che lei non paga il Contributo Volontario per l’Informazione Nazionale. Mi dia il suo codice fiscale.
-Ma non era volontario? E poi io mi informo con la Rete Libera, non ho neanche uno sfigato tv a led da 55” in casa.
-Non le ho chiesto se ha la televisione, le ho chiesto il codice fiscale
-Perchè?
-Lo devo inserire nel verbale.
-Quale verbale?
-Il verbale per la violazione della Disciplina. Lei è in contravvenzione.
-Mi sembra quanto meno fuori luogo, per aver attraversato la strada con il rosso perché il pulsante del verde non funzionava e la strada era deserta.
-Se è fuori luogo non spetta a lei deciderlo. Guardi che se continua così sarò costretto a metterla in stato di fermo.
-E di quanto sarebbe questo verbale?
-50 troni per l’attraversamento con il rosso, 220 per il documento d’identità scaduto, 625 per la patente non in originale, 1.000 tondi tondi per la revisione, 4.863 per il bollo, 12.325 per l’evasione del contributo volontario. In totale fanno 20.000 troni
-Ma che conto ha fatto? Guardi, così a spanne non mi risulta una cifra tonda. E poi che cifra è, con 20.000 troni mi ci compro casa.
-Perché, non ha ancora comprato casa?
-Perché, è vietato?
-No, però è passibile di contravvenzione. Secondo il Codice di Comportamento Disciplinato è regola di buon senso diventare proprietari immobiliari entro i 30 anni di età e prima di aver costituito un nucleo familiare a autonomo. Dal controllo istantaneo risulta che lei ha 45 anni, nel suo stato di famiglia risulta un coniuge, due figli in età scolare, tre animali da compagnia conviventi, nello specifico due gatti e un cane.
-Ci può aggiungere pure un topo, grazie a quei tre indolenti mangiapane a tradimento. E quindi?
-Quindi lei è in stato di fermo. Mi segua alla centrale.
-Ma scusi, lei mi porta alla centrale per essere passata con il rosso e quel tipo con l’audi che ha quasi travolto quella ragazzina sulle strisce, o quell’altra mercedes parcheggiata sulla rampa per i disabili…
-Non è che siccome altri commettono delle infrazioni allora lei può considerarsi meno colpevole. Inoltre io sono un Ausiliario per la Disciplina dei Pedoni. Il controllo per quel genere di infrazioni spettano agli Ausiliari per la Disciplina degli Automobilisti. Mi segua senza fare storie. Ho detto mi segua, non mi preceda. Ausiliare della Disciplina n.471 a centrale. Sto inseguendo un’appartenente alle Brigate Indisciplinate Clandestine. Chiedo rinforzi. Si allontana molto rapidamente lungo i viali, reiterando il reato di attraversamento stradale  con la luce semaforica rossa.

domenica 31 luglio 2011

Gazzosa e bruscolini, oggi domani e dopodomani.

 Ci passo davanti praticamente tutti i giorni, da quando inizia l’estate. Tutte le volte giro istintivamente la testa a sinistra, per guardare i poster, e tutte le volte in quell’istante mi ricordo che è chiuso da non so quanti anni.
Si chiamava Tirreno ed era il cinema di Torre del Lago. Era un cinema all’aperto, di quelli con i sedili di legno e seduta a ribalta. Da che ho memoria l’estate era anche il Tirreno. Tutti quei film che non avevamo visto in città potevamo vederli lì. E siccome apriva il primo di giugno e chiudeva il 15 di settembre, potevamo vederli anche più volte, perché la programmazione entrava in loop dopo quattro settimane.
I poster erano affissi su pannelli neri di legno, accanto all’ingresso del parcheggio. "OGGI, DOMANI, DOPODOMANI" ruotavano a turno sui tre pannelli. Accanto, più piccola, la strisciata con i film della settimana.
Altrimenti di arrabbiamo, Un computer con le scarpe da tennis, Papillon, Yuppi du, Kramer contro Kramer, Il campione, Laguna blu. Gli stivali bianchi a punta di John Travolta e la sua latta di vernice; Giuda che corre nel deserto, e la Lori che mi legge i sottotitoli tenendomi sulle ginocchia; la corsa di Rocky sulla scalinata, in tuta grigia e cappuccio calato sulla faccia; l’altra corsa, in bicicletta, di Warren Beatty incontro alla galleria e al paradiso.  Il dittatore dello stato libero di Bananas, Invito a cena con delitto, Assassinio sull’Orient Express. Hair. Fratello Sole e Sorella Luna. Odissea 2001. Arancia meccanica invece no, l’hanno dato solo al Blow up a Viareggio.
Prime, seconde e terze visioni, tutte nel calderone. Senza paura di sbagliare, senza guardare il botteghino.
Decidevamo chi portava chi in piedi sulla graziella e partivamo. Legavamo le bici sulle rastrelliere di ferro arrugginite, facevamo il biglietto e andavamo al bar. Gazzosa con le stringhe di liquerizia, semi di zucca salati e croccante di pinoli. Al bar si respirava il vero odore del cinema e si fremeva in attesa.
Lo spettacolo iniziava solo con l’arrivo della notte. Il biglietto costava pochissimo; potevi scegliere tra galleria, cioè le prime file, vicine ai bagni, piantate su un palco di legno, e platea, tutte le altre. Invero l’opzione era tra sedie marroni, di legno e sagomate diciamo confortevoli e sedili in listelli verniciati di verde, scomodi all’apparenza, una tortura con il procedere della proiezione. Però si poteva fumare.
Il Tirreno era l’idea stessa di cinema. La sala aveva il ghiaino in terra, un corridoio centrale, il cielo e il vento sopra le teste. Il grande schermo era l’unico elemento architettonico, montato su una struttura di ferro dall’aspetto traballante contro un’immensa parete di cipressi. Sul fondo le chiome a ombrello dei pini, davanti, nuvole di zanzare che danzavano nel fascio di luce. Tutt’intorno la siepe isolava del parcheggio ma non dal rumore, e la vita serale del paese entrava con le risate dei ragazzi in due sul Ciao che sfrecciavano verso la marina.
Ma quando iniziava il film, spariva il fuori e si entrava nella storia.
Alla fine dei titoli di testa il parcheggio era già pieno di persone che guardavano il film a scrocco, mettendosi in punta di piedi dove la siepe era più bassa. A metà del secondo tempo venivano aperti i portoni d’uscita e potevano entrare anche loro. Alla fine dello spettacolo, per i ritardatari si proiettava nuovamente il primo tempo, così si poteva vedere il film all’incontrario, però gratis.
Dopo ferragosto le giornate si accorciavano e lo spettacolo iniziava prima, l’aria rinfrescava e serviva la felpa. Se scoppiava il temporale si scappava dietro, in galleria, che era sotto la tettoia di onduline, mentre un telo di plastica scorreva per riparare le prime file della platea. Se la pioggia scrosciava, il suo battere forte copriva il sonoro. L’odore di pineta bagnata era già odore di settembre.
Alla biglietteria stava la signora con gli occhiali spessi; dietro al vetro prendeva i soldi e dava i biglietti verdi o rosa, di carta sottile con il timbro della SIAE. Davanti alle tende pesanti dell’ingresso stava il signore, basso e paffuto, che strappava il talloncino.
Una volta mia madre, non trovandomi da nessuna parte, spedì mia sorella a cercarmi. Lei arrivò fino al botteghino, chiese alla signora se avesse visto una bambina così e così e lei “se è una identica a te è dentro”, e il signore le fece strada con la torcia per cercarmi.
L’ultima volta che ho comprato il biglietto è stato per vedere Matrix. Ci sono andata da sola, in bicicletta, dopo anni che non ci andavo più. Mi sono arrotolata due joint da tenere nel pacchetto, uno per tempo, perché ancora si poteva fumare, e per godermi il film. Quando sono uscita ero sicuramente la reincarnazione di Trinity e fluttuavo nella matrice con la lingua lessata dal sale dei bruscolini. E non aveva neanche il surround.
Mi si racconta come sia morto il proprietario, come ai figli non interessasse l’articolo, come il bar abbia cambiato gestione quattro o cinque volte e il cinema abbia spento le luci e staccato la spina.
Però i pannelli di legno sono sempre lì, accanto all’ingresso del parcheggio.
Finchè ci sono i pannelli, c’è speranza.

lunedì 11 luglio 2011

Mimmo

Non ricordo esattamente da quanto tempo Mimmo viene a mangiare al Tremotino, ma è già un bel po’.
Mimmo è un artigiano, lavora il legno. Viene a pranzo, beve una coppetta di spumantino per aperitivo, si siede al tavolo e consuma il suo pranzo di lavoro, primo secondo con contorno ¼ di vino bianco e caffè.
Si alza e prende un’altra coppetta al banco. Facciamo due chiacchiere e se ne torna al lavoro, di solito finendo la frase sulla porta.
Il vino bianco non lo potrebbe bere, dice, e neanche quello rosso. Ma il bianco almeno è più leggero. Ci vuole una fettina di arancio, perché gli svolta il sapore e gli piace di più.
Mimmo è educato, ti racconta le sue cose e si interessa delle tue. Ha la battuta leggera e simpatica, spesso condita di un vago sarcasmo.
Un giorno mi dice: domani non vengo che devo andare in ospedale.
Oh, dico, devi operarti?
No, dice, ci devo andare per fare degli esami.
Ah, dico, allora niente di che.
Eh, dice, vedi questo buco che ho sulla fronte?
Sì, dico, cos’è?
Qualche anno fa sono stato operato in testa, mi hanno trapanato il cranio per un aneurisma.
Az, dico
E mi hanno dovuto fare una trasfusione, dice, e ti ricordi di quella storia che non controllavano il sangue? Ecco, io ho preso l’epatite. E ora ho la cirrosi, e ogni tanto mi tolgono un pezzo di fegato e il resto me lo impacchettano in modo che possa funzionare. Sono in lista d’attesa per il trapianto. Ma mica lo so se arrivano in tempo. Non dovrei bere, ma diobe’, sono praticamente un morto vivente, almeno mezzo litro di vino al giorno me lo concedo.
Così ogni tanto non si palesa e va a fare gli esami.
Quando è sparito per tre settimane, è tornato con un pezzo di fegato in meno. E sul tavolo ha voluto  ¼ di litro in più.
Ci ha fatto pubblicità, ha portato qualcuno a pranzo per farci conoscere. Una ragazza che viene sempre con il nonno. Ha aiutato la nostra cuoca a sistemare la cucina dopo il trasloco.
E’ stata lei a ricevere la telefonata di Mimmo dall’ospedale.
“Eufrasia, hanno trovato un donatore. Mi hanno fatto il trapianto. Appena esco vi vengo a trovare”
Oggi Mimmo è venuto a pranzo. Non può pasticciare troppo a tavola, meglio non esagerare con il maiale e con i condimenti. Ha una bella faccia sorridente.
E portami dell’acqua frizzante, per favore.
Ora ha molto più senso bere acqua frizzante. Ha un fegato nuovo. Non vuole mica giocarselo.
Bisogna aver riguardo di un regalo così.

mercoledì 15 giugno 2011

Vendo anch'io

Racconto
Credo che quasi tutte abbiano avuto un fidanzato storico, cioè uno con cui sei stata un sacco di tempo e che ora non ci stai più. Questo fidanzato, quando non era ancora storico, mi ha regalato la macchina fotografica, la sera prima della mia partenza per l’Erasmus.
Ho vissuto nove mesi a Oporto, avevo 24 anni e studiavo architettura.
Con questa macchina ho fotografato le nuvole nel cielo e la mia ombra sul muro bianco. Poi ho cominciato a fotografare dalla finestra quello che succedeva sotto la mia casa portoghese. Una rissa tra donne, i tavolini pieni di studenti a bere birra la sera, le baracche del mercato, le cantine del Porto, la regata delle barche storiche, e quelle a vela degli inglesi che risalivano il Douro. Mi sono persa il suicida dal ponte don Luiz, però ho fotografato i palloni di san Joao. La manifestazione per la pace durante la prima guerra del golfo, un festival di saltimbanchi, e pure i fuochi d’artificio. Succedevano un sacco di cose nella piazza della Riberia.
Sono tornata a Milano, con la mia macchina fotografica regalata dal mio fidanzato, e ci siamo lasciati. Ma poi ci siamo rimessi insieme ed è diventato storico.
Quando dopo nove anni ci siamo lasciati davvero ho ricominciato a fotografare.
Facevo l’architetto, avevo 33 anni. Andavo alla montagnetta a correre e Milano era bellissima. Andavo in bicicletta, e mi sembravano belli persino i muri dello scalo Farini, quell’inutile torre piastrellata, il ponte di via Quadrio, i lavori del passante sotto casa.
Fotografavo i lavori notturni alla ferrovia, la gente sul tram, i miei amici della grotta, e tanti ritratti, tutti miei. Quello tipico, il fotografo che si fotografa, o quello fatto allungando il braccio e calcolando la messa a fuoco.


Poi ho conosciuto mio marito, sulla spiaggia di Viareggio, lui era bellissimo, ma per davvero. Aveva una macchina fotografica automatica, e usavamo la sua.
La mia macchina fotografica è finita nel cassetto della ribaltina. C’è stata poco, perché è nata la nostra prima bimba, e allora a rotta di collo, foto a manetta, centinaia di scatti. Quando è nata la seconda figlia ci eravamo attrezzati con una macchina digitale.
Lei, la vecchia, non ha retto il colpo, è tornata nel cassetto della ribaltina.
Quando la prendo in mano mi piacciono il suo peso e la sua materia, mi piace il rumore dell’otturatore allo scatto, mi piace la posizione che assumo quando guardo nel mirino e il modo in cui si fa tenere in mano.
Mi piace così tanto che mi sa che non la vendo. Non è che ci sia affezionata in modo particolare, però so che lei mi guardava ogni volta che evolvevo, mentre io guardavo attraverso lei.
E però magari, vendendola, posso attirare su di me una nuova evoluzione. Magari è magica.
Allora farò così, io la vendo, ma voi non fatevela scappare.

Desidero
Non lo desidero da sempre, anzi questo desiderio si è materializzato stamattina sotto la doccia. Allora mi sono convinta a partecipare.
Il TEDESCO: voglio imparare il tedesco. Prima pensavo che fosse una lingua orrenda, ma ero giovane e non capivo niente.
Quest’inverno ci siamo trovati, mio marito ed io, a dovere cercare lavoro, perché la crisi è globale. Ci siamo informati per andare a fare la stagione in Trentino.
Ma in Trentino si trova lavoro solo se sai il tedesco.
A noi piace il Trentino. Gli architetti conoscono il loro mestiere, le imprese edili anche. Costruiscono le case con il legno e senza impianto di riscaldamento, perché usano i sistemi passivi.
Alla gente piace bere e mangiare, il vino è buono e siamo molto vicini ai luoghi del Prosecco.
Ci sono i lupi, le marmotte e le aquile.
Io vorrei che le mie bimbe vivessero in un posto dove se alzi gli occhi puoi vedere le aquile volare. E ci vorrei vivere anch’io, e pure mio marito.
Così se voglio andare a vivere in Trentino, devo imparare il tedesco.

un estratto da questo racconto è stato letto da Matteo Caccia nella trasmissione "Vendo tutto" del 4 giugno 2010, lo potete ascoltare qui