Giro intorno all’accampamento tenendomi alla larga e faccio un paio di scatti cercando di non farmi notare troppo.
Non sto inquadrando te, uomo davanti al fuoco, sto inquadrando le montagne, le nuvole, i corvi. Non mi guardare, io non ci sono. Ecco, vedi? Me ne vado. Mi metto su questo tronco lontano da te, non ti disturbo, e guardo le mie ragazze costruire una capanna.
Sto riflettendo sul bisogno ancestrale dei bambini di edificare un rifugio sicuro e riconoscibile in un qualsiasi luogo preso grande a piacere, quando vedo l’uomo del fuoco avvicinarsi a passo deciso.
Lo sapevo, ora mi fa una partaccia.
Invece sorride e mi saluta, in inglese.
“Hi!” rispondo sperando che sia uno come me, cioè con una conoscenza minima dell’inglese, e mi preparo all’uso del linguaggio dei segni. In effetti anche lui sa poco inglese, francese, tedesco e italiano, però se hai voglia di comunicare un modo lo trovi.
“Guarda, ti ho ripreso da lontano quasi non ti si riconosce” gli dico io giustificandomi e gli faccio vedere le foto.
“Sì, sì molto belle: è il mondo, è bello” mi dice in un esperanto autogestito. Le sue mani sono nere di terra, i vestiti pieni di polvere, il viso segnato dalle notti in tenda e dai chilometri in bici, la barba lunga, gli occhi ridenti.
“Da dove vieni?”Elenca una serie di luoghi di cui memorizzo solo l’ultimo, Saint Tropez.
“Sì ma dove sei nato?” e mi dice il nome di un posto che comincia con la P.
“Non conosco la tua città”
“Nessuno conosce la mia città. Ora c’è la guerra, non è più la mia città, il mondo è la mia città”
Un apolide in quechua.
“E’ Viareggio?”
“Torre del Lago” rispondo tirando fuori il mio quaderno per appuntare il nome per lui.
“No, qui” e mi porge il suo quaderno degli appunti di viaggio. Poi tira fuori un foglietto con nome e cognome, il suo contatto facebook.
“Se pubblichi le tue foto taggami, faccio vedere tutto questo mondo al mio mondo. Arrivo al Vaticano domenica, e al Vaticano posso guardare”.
Gli dico "certo" e lui si alza e ritorna verso la tenda, si volta per salutare allora gli chiedo di nuovo il nome della città.
"Oh, guarda su facebook" mi risponde sorridendo.
“Da dove vieni?”Elenca una serie di luoghi di cui memorizzo solo l’ultimo, Saint Tropez.
“Sì ma dove sei nato?” e mi dice il nome di un posto che comincia con la P.
“Non conosco la tua città”
“Nessuno conosce la mia città. Ora c’è la guerra, non è più la mia città, il mondo è la mia città”
Un apolide in quechua.
“E’ Viareggio?”
“Torre del Lago” rispondo tirando fuori il mio quaderno per appuntare il nome per lui.
“No, qui” e mi porge il suo quaderno degli appunti di viaggio. Poi tira fuori un foglietto con nome e cognome, il suo contatto facebook.
“Se pubblichi le tue foto taggami, faccio vedere tutto questo mondo al mio mondo. Arrivo al Vaticano domenica, e al Vaticano posso guardare”.
Gli dico "certo" e lui si alza e ritorna verso la tenda, si volta per salutare allora gli chiedo di nuovo il nome della città.
"Oh, guarda su facebook" mi risponde sorridendo.
Apolide, esule di guerra, viaggiatore, pellegrino e con un grandissimo desiderio di condividere.
Nessun commento:
Posta un commento