domenica 18 novembre 2012

L'apolide in quechua

2 seconds Quechua verde militare, mountain bike e un filo di fumo che si alza dritto al cielo, è quello che mi appare oltre le dune, mentre cammino verso la riva.
Giro intorno all’accampamento tenendomi alla larga e faccio un paio di scatti cercando di non farmi notare troppo.
Non sto inquadrando te, uomo davanti al fuoco, sto inquadrando le montagne, le nuvole, i corvi. Non mi guardare, io non ci sono. Ecco, vedi? Me ne vado. Mi metto su questo tronco lontano da te, non ti disturbo, e guardo le mie ragazze costruire una capanna.
Sto riflettendo sul bisogno ancestrale dei bambini di edificare un rifugio sicuro e riconoscibile in un qualsiasi luogo preso grande a piacere, quando vedo l’uomo del fuoco avvicinarsi a passo deciso.
Lo sapevo, ora mi fa una partaccia.
Invece sorride e mi saluta, in inglese.

“Hi!” rispondo sperando che sia uno come me, cioè con una conoscenza minima dell’inglese, e mi preparo all’uso del linguaggio dei segni. In effetti anche lui sa poco inglese, francese, tedesco e italiano, però se hai voglia di comunicare un modo lo trovi.
 
“Guarda, ti ho ripreso da lontano quasi non ti si riconosce” gli dico io giustificandomi e gli faccio vedere le foto. 
“Sì, sì molto belle: è il mondo, è bello” mi dice in un esperanto autogestito. Le sue mani sono nere di terra, i vestiti pieni di polvere, il viso segnato dalle notti in tenda e dai chilometri in bici, la barba lunga, gli occhi ridenti.
“Da dove vieni?”Elenca una serie di luoghi di cui memorizzo solo l’ultimo, Saint Tropez.
“Sì ma dove sei nato?” e mi dice il nome di un posto che comincia con la P.
“Non conosco la tua città”
“Nessuno conosce la mia città. Ora c’è la guerra, non è più la mia città, il mondo è la mia città”
Un apolide in quechua.
“E’ Viareggio?”
“Torre del Lago” rispondo tirando fuori il mio quaderno per appuntare il nome per lui.
“No, qui” e mi porge il suo quaderno degli appunti di viaggio. Poi tira fuori un foglietto con nome e cognome, il suo contatto facebook.
“Se pubblichi le tue foto taggami, faccio vedere tutto questo mondo al mio mondo. Arrivo al Vaticano domenica, e al Vaticano posso guardare”.
Gli dico "certo" e lui si alza e ritorna verso la tenda, si volta per salutare allora gli chiedo di nuovo il nome della città.
"Oh, guarda su facebook" mi risponde sorridendo. 
Apolide, esule di guerra, viaggiatore, pellegrino e con un grandissimo desiderio di condividere.

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