Le acacie sono alberi stupidi, sono piantacce. Sono infestanti, fanno un’ombra idiota, hanno pure le spine.
Probabilmente
Stefano non aveva mai perdonato alla acacie di aver invaso la pista da
cross sulla quale si cimentava almeno 15 anni prima, un paio di riporti
di terra che le ruote delle bici avevano modellato fino a farlo
diventare un percorso avventuroso, teatro delle sfide di coraggio con
gli amici del Gallaratese all’uscita di scuola.
Le acacie
crescono velocemente, si diffondono in un attimo invadendo il bosco,
hanno un legno morbido che non puoi usare per fare mobili né travi o
assi, ma puoi solo bruciare nel camino. Non mi ci mettere solo
l’acacia, dammi anche un po’ di castagno o di ulivo, altrimenti non mi
dura nulla questo carico, quando ordini la legna per l’inverno. Se hai
una acaciaia ti rende poco, pure il valore catastale è scarso; non te lo
pagano molto il taglio, perché brucia in fretta e sviluppa poco calore.
Ora
i loro rami fioriti ronzano per le api attratte dall’odore intenso e
dai grappoli pesanti, e le loro chiome si mostrano chiaramente da
lontano, come bianche nuvole gonfie tra le mille sfumature di verde e
argento delle farnie, dei pini e dei lecci. Ora il vento profuma di
acacia e annusandolo non mi sembra affatto che siano alberi stupidi. Per
lo meno non adesso, con questo sole e con questa arietta fina.
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