Varcare la
soglia del Club del Negroni è come varcare una soglia spazio-temporale, per via
di quella luce rosso vermuth che mette la pace addosso e mi trasporta in un
bistrot francese dell’età del jazz, che non ha niente a che vedere né con il
club né con il negroni ma a me fa proprio quell’effetto lì.
Il Club del
Negroni sta in una via davanti la torre Matilde, una zona centrale di Viareggio
ma fuori dal delirio della passeggiata, e lo devi conoscere perché dalla strada
non si nota, ed anche questo è il suo bello, fa molto nicchia di intenditori.
D’altronde un bar dove si beve solo negroni di nicchia lo è per vocazione.
L’ha aperto
almeno dieci anni fa Filippo, che è mesto e gobbo e grigio, ma di un bel tono
di grigio che si intona molto al rosso vermuth, anzi è un abbinamento tanto
fine, e comunque era grigio e gobbo e mesto anche trent’anni fa, quando aveva
preso il bar sul mare e la sera organizzava i vernissages di pittura e mi sa
che se la faceva con mia cugina.
Dietro il
banco accanto a Filippo c’è la moglie che proprio non riesco a ricordare come
si chiama ma so che ha un nome strano e sarebbe facile googolare per trovarlo
perché il Club del Negroni è sul web ma non voglio farlo, preferisco sapere di
non ricordalo anche se me l’ha già detto almeno tre volte, cioè le volte che
sono stata al club e ci siamo presentate, e la chiamerò Giselle, sull’onda
dell’ispirazione della soglia spazio-temporale.
Al Club del
Negroni ci si presenta, perché Giselle e Filippo amano chiamare i propri
clienti per nome.
Entrando
saluto Giselle e Filippo e mi metto al banco chiedendo a lei un negroni da
ragazza e lei ride con una risata da Sandra Milo e parla anche come Sandra
Milo, o meglio come parlerebbe se avesse aperto un Club del Negroni, come dire,
meno Milo, con un mezzotono più basso.
-Mi piace il
negroni da ragazza, mi dice mentre svita il tappo di una bottiglia senza
etichetta e prepara il bicchiere, un tumbler alto e sottile, mette quattro cubi
di ghiaccio, la scorza d’arancia e poi versa la bevuta.
Il retro
banco è una parata di bottiglie illuminata dalla luce color vermuth e dallo
specchio di fondo della parete, osservo tutte quelle bottiglie in parata mentre
bevo il primo sorso e osservo Giselle che ha incrociato le braccia.
-Ti dispiace
se faccio delle foto?
Tiro fuori
la macchina dalla borsa, e controllo che la rotella sia sulla posizione della
macchinina verde perchè io di foto ci capisco poco e in quella posizione la
macchina fa da sé, e quando le riguardo di solito sono sempre soddisfazioni.
Scatto su una Giselle sorridente leggermente imbarazzata e siccome per fare
ritratti non bisogna mettere in imbarazzo il soggetto, scattando domando.
-Mi hai
servito la versione standard?
-Ne teniamo
di già miscelato in questa bottiglia, se invece ne vuoi un tipo particolare
devi chiedere a Filippo.
Che si è alzato
ed è venuto dietro il banco pure lui e mi spiega.
-Il negroni
è un cocktail piuttosto semplice, inventato dal conte Camillo Negroni, nel
1920, quando chiese al barman del Caffè Casoni di Firenze, che oggi si chiama
Caffè Giacosa, di correggere il suo americano, sostituendo il seltz con il gin.
Semplice: una parte di gin, una di campari e una di martini rosso, e una scorza
d’arancia. Si possono introdurre mille variabili, basta restare indietro di
martini e salire con il gin per averne una versione più secca per esempio, o
utilizzare un estratto di scorza d'arancia per averlo più aromatico. Ma sempre,
rigorosamente, senza cannuccia.
Filippo ha
una sua ricetta segreta che offre solo agli amanti, e sperimenta versioni al
peperoncino o all’assenzio per curiosi intraprendenti. Negroni per tutti i
gusti.
La bevanda
mi scende nello stomaco che realizzo ahimè essere vuoto malgrado l’ora, sento
salire l’alcool e il suo calore secco direttamente al cervello, mi scatta
l’ormone del buon umore e con l’umore ben preposto e la rotella sulla
macchinina verde scatto delle foto piuttosto graziose, io, unica avventrice del
Club del Negroni in questa serata di mezz’estate.
So che il
viaggio del rientro è lungo, quindi non cedo alla tentazione del secondo giro,
magari all’assenzio. Ripongo la macchina fotografica e prendo il portafoglio e
aprendolo m’illumina la consapevolezza di essere irrimediabilmente sprovvista
di denaro, come d’abitudine. Così guardo Giselle che mi osserva cercare
forsennatamente qualche moneta dimenticata nei meandri della borsa ma che
proprio non c’è e confesso
-Pos?
-No cara, ma
non fa nulla, vorrà dire che tornerai a trovarci. A noi fa piacere.
Attraverso
la soglia barcollando leggermente alticcia, dopo un saluto affettuoso pregno di
scusami ancora, ma tornata in questo tempo e in questo luogo ci penso su e mi
dico che chissà quando mi ricapita una serata di libertà per bissare il
negroni, così faccio il giro dell’isolato e guadagno un bancomat che per
fortuna non mi manda a cagare ma mi consegna una banconota da 50 euro.
Ancora salto
spazio-temporale, saluto e pago, anche se avrei potuto non farlo, ma almeno
qui, al Club del Negroni, non voglio lasciare chiodi. Voglio poter tornare a
viaggiare nel tempo, entrare a testa alta e uscire di nuovo con le ginocchia
piegate.
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