mercoledì 8 agosto 2012

Al Club del Negroni


Varcare la soglia del Club del Negroni è come varcare una soglia spazio-temporale, per via di quella luce rosso vermuth che mette la pace addosso e mi trasporta in un bistrot francese dell’età del jazz, che non ha niente a che vedere né con il club né con il negroni ma a me fa proprio quell’effetto lì.
Il Club del Negroni sta in una via davanti la torre Matilde, una zona centrale di Viareggio ma fuori dal delirio della passeggiata, e lo devi conoscere perché dalla strada non si nota, ed anche questo è il suo bello, fa molto nicchia di intenditori. D’altronde un bar dove si beve solo negroni di nicchia lo è per vocazione.
L’ha aperto almeno dieci anni fa Filippo, che è mesto e gobbo e grigio, ma di un bel tono di grigio che si intona molto al rosso vermuth, anzi è un abbinamento tanto fine, e comunque era grigio e gobbo e mesto anche trent’anni fa, quando aveva preso il bar sul mare e la sera organizzava i vernissages di pittura e mi sa che se la faceva con mia cugina.
Dietro il banco accanto a Filippo c’è la moglie che proprio non riesco a ricordare come si chiama ma so che ha un nome strano e sarebbe facile googolare per trovarlo perché il Club del Negroni è sul web ma non voglio farlo, preferisco sapere di non ricordalo anche se me l’ha già detto almeno tre volte, cioè le volte che sono stata al club e ci siamo presentate, e la chiamerò Giselle, sull’onda dell’ispirazione della soglia spazio-temporale.
Al Club del Negroni ci si presenta, perché Giselle e Filippo amano chiamare i propri clienti per nome.
Entrando saluto Giselle e Filippo e mi metto al banco chiedendo a lei un negroni da ragazza e lei ride con una risata da Sandra Milo e parla anche come Sandra Milo, o meglio come parlerebbe se avesse aperto un Club del Negroni, come dire, meno Milo, con un mezzotono più basso.
-Mi piace il negroni da ragazza, mi dice mentre svita il tappo di una bottiglia senza etichetta e prepara il bicchiere, un tumbler alto e sottile, mette quattro cubi di ghiaccio, la scorza d’arancia e poi versa la bevuta.
Il retro banco è una parata di bottiglie illuminata dalla luce color vermuth e dallo specchio di fondo della parete, osservo tutte quelle bottiglie in parata mentre bevo il primo sorso e osservo Giselle che ha incrociato le braccia.
-Ti dispiace se faccio delle foto?
Tiro fuori la macchina dalla borsa, e controllo che la rotella sia sulla posizione della macchinina verde perchè io di foto ci capisco poco e in quella posizione la macchina fa da sé, e quando le riguardo di solito sono sempre soddisfazioni. Scatto su una Giselle sorridente leggermente imbarazzata e siccome per fare ritratti non bisogna mettere in imbarazzo il soggetto, scattando domando.
-Mi hai servito la versione standard?
-Ne teniamo di già miscelato in questa bottiglia, se invece ne vuoi un tipo particolare devi chiedere a Filippo.
Che si è alzato ed è venuto dietro il banco pure lui e mi spiega.
-Il negroni è un cocktail piuttosto semplice, inventato dal conte Camillo Negroni, nel 1920, quando chiese al barman del Caffè Casoni di Firenze, che oggi si chiama Caffè Giacosa, di correggere il suo americano, sostituendo il seltz con il gin. Semplice: una parte di gin, una di campari e una di martini rosso, e una scorza d’arancia. Si possono introdurre mille variabili, basta restare indietro di martini e salire con il gin per averne una versione più secca per esempio, o utilizzare un estratto di scorza d'arancia per averlo più aromatico. Ma sempre, rigorosamente, senza cannuccia.
Filippo ha una sua ricetta segreta che offre solo agli amanti, e sperimenta versioni al peperoncino o all’assenzio per curiosi intraprendenti. Negroni per tutti i gusti.
La bevanda mi scende nello stomaco che realizzo ahimè essere vuoto malgrado l’ora, sento salire l’alcool e il suo calore secco direttamente al cervello, mi scatta l’ormone del buon umore e con l’umore ben preposto e la rotella sulla macchinina verde scatto delle foto piuttosto graziose, io, unica avventrice del Club del Negroni in questa serata di mezz’estate.
So che il viaggio del rientro è lungo, quindi non cedo alla tentazione del secondo giro, magari all’assenzio. Ripongo la macchina fotografica e prendo il portafoglio e aprendolo m’illumina la consapevolezza di essere irrimediabilmente sprovvista di denaro, come d’abitudine. Così guardo Giselle che mi osserva cercare forsennatamente qualche moneta dimenticata nei meandri della borsa ma che proprio non c’è e confesso
-Pos?
-No cara, ma non fa nulla, vorrà dire che tornerai a trovarci. A noi fa piacere.
Attraverso la soglia barcollando leggermente alticcia, dopo un saluto affettuoso pregno di scusami ancora, ma tornata in questo tempo e in questo luogo ci penso su e mi dico che chissà quando mi ricapita una serata di libertà per bissare il negroni, così faccio il giro dell’isolato e guadagno un bancomat che per fortuna non mi manda a cagare ma mi consegna una banconota da 50 euro.
Ancora salto spazio-temporale, saluto e pago, anche se avrei potuto non farlo, ma almeno qui, al Club del Negroni, non voglio lasciare chiodi. Voglio poter tornare a viaggiare nel tempo, entrare a testa alta e uscire di nuovo con le ginocchia piegate.

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