venerdì 13 gennaio 2012

Liù

"Dopo me ne dai uno?"
"No".
"E quello cos’è?"
"Veleno per bambini".
In realtà sono bottiglie di soda schweppes da due litri, ma evidentemente il barista non ha voglia di spiegare.
Il bambino lo guarda riporre le bottiglie e poi guarda me.
"Quello cos’è, sambuca?"
"No, è rum -gli dico io- mi piace nel caffè".
Il ragazzino lo conosco, era alla materna con mia figlia; è certificato però non so con quale articolo. Lo sguardo non è esattamente sveglio e la parlata è ghiozza, ma qui tutti i bambini parlano così.
"OH, MA LA PIANTI? ti stai zitto?"
Arriva la madre, gli butta addosso un’occhiata truce e poi torna alla macchinetta cambia soldi.
Anche lei la conosco di vista, anzi una volta le ho pure dato un passaggio. Una mattina mi ha chiesto se andavo a Viareggio ché lei non ha la patente.
"Vado fino a lì" le dico
"Perfetto" fa lei "Mi puoi lasciare al Bar L’Onda".
Monta in auto; quasi subito mi chiama Ale:
"Dove sei cosa fai?"
"Vado in ufficio ma prima accompagno una... mamma? no: una nonna al Bar L’Onda"
"Veramente sono la mamma"
"Oh, scusa. Anche tu sei diventata mamma tardi come me?"
"Veramente ho 36 anni".
Meglio che sto zitta.
Al Bar l’Onda ringrazia e scende; io richiamo Ale.
"Che figura dimmerda! E’ la mamma!"
"Tanto se lo dimentica subito - mi dice lui - Se va al Bar L’Onda è per giocare alle macchinette".

E infatti, anche ora è nella saletta delle slot e il figlio la aspetta e si rompe i coglioni.

Un paio d’anni fa è finita anche sul giornale. Non lei, veramente suo marito: si era ribaltato con il trattore mentre lavorava nel campo di un’azienda agricola. Quando l’hanno tirato fuori sembrava che non ci fosse niente da fare, poi che dovesse perdere le gambe, poi il suo angelo custode o il destino beffardo è intervenuto ed è rimasto storpio. Tutte le mamme del plesso erano sconvolte dalla storia, per qualche giorno.
Il barista continua a metter via bottiglie e io do un’occhiata alla saletta. Le macchinette parlano, il fumo brucia agli occhi, nessuno solleva lo sguardo. Con tutte quelle macchine non ci paghi l’affitto del locale, ma le bollette sì.
Anche al Tremotino c’erano le macchinette, ma quando mio marito ne ha preso la gestione non ha avuto dubbi
"Io tolgo i videopoker e ci metto un flipper e un biliardino, almeno ci giocano i ragazzi. Non ne voglio di gente che viene qui a bere, fumare e rovinarsi".
Per sei mesi il tipo che veniva a scaricare il flipper insisteva
"Ma siete sicuri? Mettetene almeno una, per provare. 200 euro al mese ce li fate. Basta dire che è vietato fumare".
E salutava sempre con "quando ci ripensate…"
Abbiamo perso qualche cliente, che va a giocare da un’altra parte, e ricevuto i ringraziamenti di qualche altro, "che io mi ci sono rovinato qui, e continuerei a farlo", che poi è comunque andato in un altro bar dove hanno le macchinette. Ma abbiamo continuato senza il videopoker.
La nostra amica Simona mi ha anche detto: "e non avete avuto problemi, quando avete detto che le volevate togliere? Nel bar dove vado a fare colazione non hanno potuto, il tipo del concessionario ha fatto capire che sarebbe stato meglio lasciarle lì”. E’ come pagare un pizzo, ma senza capire bene a quale organizzazione. Un pizzo in termini di dignità.
Quel bambino con lo sguardo rallentato che aspetta la madre mi dice che va bene così. Farebbe comodo, eccome, qualche macchinetta mangiasoldi. Prendi il 50% degli incassi. Ne metti quattro, hai elettricità e gas pagati. Però hai anche mamme che chiamano i figli “OH”, figli che cercano qualcuno con cui parlare, mariti che se va bene vengono spediti in terapia dal giudice e nonni che si giocano la pensione.
Ora, dico io, se proprio devo pagare le bollette vendendo qualcosa che produce dipendenza e alienazione e ingrassa le organizzazione paracriminali,  non sarebbe meglio se mi permettessero di coltivare la maria? Almeno la mafia la prenderebbe nel culo, mentre i bambini no.

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