giovedì 23 settembre 2010

Il patino, la nonna e le mutande

Ce ne stavamo lì seduti sul patino a guardare il mare e ci passavamo la sigaretta.
Lui era magro rifinito e le sue dita erano lunghe e scuotevano la cenere in continuazione; portava grandi anelli e bracciali d’argento e le unghie curate.
Guardavamo il mare e ce ne stavamo lì zitti. Ma io non reggevo mica e ogni tanto gli domandavo come aveva fatto allora. E lui mi raccontava che aveva dovuto corrompere uno sbirro per uscire e poi per tornare in Italia era stato un delirio, che aveva finito i soldi. E poi? Ho contrabbandato pietre preziose. Davvero? Eh sì.
E’ bello il mare a fine agosto, è bello il tramonto. Poi era bello stare lì con Bruno. Perché in fondo non mi aveva mai filato tanto Bruno. Anzi, tanto tempo fa mi faceva l’orso, bruno, per l’appunto.
 Io ero una ragazzina di forse 12 anni e lui era più grande della mia sorella maggiore. La sera se ne stavano lui, lei, l’altra sorella e tutta la compagnia del mare a chiacchierare sul dondolo il giardino. Io arrivavo e mi mettevo lì per sentire le loro battute, che mi facevano ridere. Ero piccola e iperattiva, così Bruno si alzava e cominciava a camminare avanti e indietro, con le braccia piegate in avanti e le mani ciondoloni. Appena provavo a toccarlo per farlo smettere lui si ripiegava la schiena all’indietro, guardava in su, faceva un verso cupo e ruotava di centottanta gradi, ricominciando a camminare nell’altro verso, come l’orso del tiro a segno del luna park. Io mi incazzavo tantissimo.

Bruno aveva capelli corvini, occhi color del cielo e un grande naso elegante. Era bello, intelligente e arguto. Era di Torino e parlava veramente torinese. Sua madre era stupenda e cucinava malissimo. Lo invitavamo per solidarietà a mangiare e lui si esibiva in esilaranti descrizioni del rapporto di sua madre con la cucina. Era di casa a casa nostra al mare.
D’inverno a Torino faceva canottaggio, ma sul serio. Alla fine era entrato nella nazionale. Poi un giorno successe una storia strana, lo esclusero dalle olimpiadi, spaccò un remo dalla rabbia davanti alle telecamere e se ne partì. India, Thailandia e chissà dove ancora, era stato via un sacco di tempo.
Era quella l’estate dello sgombero del Leoncavallo di via Leoncavallo e dell’eclissi totale di luna. Io tornavo da una vacanza intensa in Sardegna vissuta su un vespone 150 px, tenda, 15 giorni senza vedere un campeggio. Ero ammutolita dalla normalità del rientro, e per di più ero lì con mia nonna.

Ora davanti a quel tramonto eravamo lui e io, soli, scossi e assorti nelle rispettive nostalgie, seduti sul patino a dividersi una sigaretta, con gli sguardi lontani, la pelle salata e i pantaloni thai. Io li avevo comprati da un marocchino sulla spiaggia due giorni prima, ma vale lo stesso. Mi sa che lui avrebbe preferito una delle mie sorelle, ma loro ormai facevano le vacanze con i fidanzati e a Torre del Lago non ci venivano più. Io nel frattempo mi beavo di quell’intimità che mi faceva sentire degna di speciali confidenze sottintese.
Quando era tornato in paese era venuto al nostro cancello. Io ero in cucina e aiutavo la nonna, che apparecchiava in giardino. Ho capito che era agitata da come saliva le scale.
"C’è uno zingaro al cancello, dice che è amico vostro. Io gli ho detto che qui non c’è nessuno".
"Ma come non c’è nessuno?"
Era la metà di come lo ricordavo ma era proprio lui.
"Nonna lo conosco, è Bruno".
"E cosa vuole?"
"L’ho invitato a pranzo, che è l’ora giusta".
"Allora digli di mettersi le mutande, che a me quell’affare che balla sotto i pantaloni mi fa effetto".

Alle nonne non interessano le situazioni intense, le scelte della vita e i viaggi alla ricerca di sé stesso. Interessa soprattutto che ci si mettano le mutande.

1 commento:

  1. Un altro orso (non bruno, ma polare ed educato) dice che è ora che tu ricominci a scrivere!

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